Terre del Reno
26 Settembre 2017
Prosegue con i testimoni delle difese il processo per i crolli all'azienda di Dosso durante il sisma 2012

Processo Tecopress. «Quella struttura era diversa dal capannone iniziale»

di Daniele Oppo | 2 min

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Dosso. Udienza dedicata ai testimoni delle difese quella di lunedì nel processo per l’omicidio colposo dell’operaio Gerardo Cesaro, morto a seguito dei crolli alla Tecopress durante il sisma del 2012.

In particolare sono stati sentiti i tecnici – chiamati dalla difesa del collaudatore del capannone caduto (collaudo effettuato nel 1992) – che hanno hanno avuto a che fare con la progettazione del capannone rimasto in piedi, quello ‘poggiato’ su quello crollato. In sostanza, quel che è stato detto, è che il nuovo capannone, posizionato nel 2001, venne costruito secondo i criteri antisismici (classe S6), ma non perché a Dosso era necessario al tempo, bensì per alcune caratteristiche di instabilità del terreno e per configurazione prescelta dall’azienda Mabo (oggi non più attiva). Il collegamento venne realizzato tramite una ‘tettoia’, poggiata su una pensilina del vecchio capannone. Secondo l’ex progettista della Mabo (l’ingegnere Doni Giannini), per quel tipo di collegamenti l’azienda inseriva un sistema in grado di evitare spinte orizzontali a carico del capannone d’appoggio. Cosa confermata anche dal professionista che effettuò il collaudo statico dell’opera. Per l’ingegnere Dolgetta, che si è occupato della pratica Sfinge per Tecopress e delle messa in sicurezza dell’area dopo i crolli, la struttura composta dal vecchio e dal nuovo capannone era da considerarsi una struttura «completamente diversa strutturalmente rispetto al capannone iniziale». La conseguenza implicita di tale affermazione è che andasse tutto ricollaudato nel 2001.

La difesa di Dario Cagliandi, progettista e direttore dei lavori, ha chiamato in aula alcuni esperti montatori di capannoni, per far capire quanto fosse usuale creare dei legami tra trave e pilastro nelle zone sismiche – la cui assenza è stata, secondo l’accusa, uno dei motivi del crollo rovinoso e tragico alla Tecopress – ma con risultati probabilmente poco utili al processo: i due non pare abbiano mai lavorato nel territorio ferrarese e comunque hanno fatto capire di avere avuto poco a che fare con lavori del genere dopo il cambio della normativa a metà degli anni Duemila.

La Tecopress, che è a processo come responsabile civile, ha prodotto gli atti del risarcimento alla famiglia, azione a cui si è opposta proprio la parte civile perché quei documenti non attesterebbero quanto ricevuto nella realtà dalla famiglia Cesaro.

Prossima udienza in calendario al 2 novembre, con i testimoni degli imputati Enzo Dondi – legale rappresentante di Tecopress – e Elena Parmeggiani, responsabile della sicurezza.

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