Recensioni
8 Settembre 2017

A Jewish film

di Redazione | 3 min

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A ridosso della Giornata Europea della Cultura Ebraica che si svolgerà quest’anno domenica 10 settembre prossimo, alla 74a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato ieri, nella corsia Orizzonti Ha Edut – The Testament, l’ultimo film del giovane regista Amichai Greenberg.

Intensamente interpretato da Ori Pfeffer, Rivka Gur, Hagit Dasberg, Orna Rotenberg, Emmanuel Cohn, è coprodotto da Israele ed Austria, location della pellicola.

La tematica è particolare, pur rifacendosi al tema dell’Olocausto che, giustamente, riesce a trovare nuovi mezzi narrativi ed espressivi per non dimenticare di ricordare un tipo di atrocità fino a questa ‘occasione’ cinematografica non svelato. Si basa, infatti, su di un fatto vero, il plot, apparentemente ‘comune’ a molte altre tragedie nella Grande Tragedia.
Yoel, ebreo ortodosso, è uno studioso dell’Olocausto che si trova coinvolto in una battaglia legale ampiamente ripresa dai media, contro interessi potenti in Austria. La questione riguarda un brutale massacro di ebrei che ebbe luogo proprio alla vigilia della fine della Seconda Guerra Mondiale nel villaggio di Lendsdorf, in Austria. Un’influente famiglia di industriali, sulle cui terre avvenne la strage, sta progettando di costruire un complesso immobiliare proprio in quel luogo. Yoel sospetta che il loro scopo sia quello di insabbiare il caso per sempre, ma ha difficoltà a trovare le prove definitive per fermare il progetto. Mentre svolge le sue ricerche sull’incidente, Yoel esamina testimonianze secretate di sopravvissuti all’Olocausto e, tra le tante, ritrova una testimonianza della propria madre, di cui mai aveva avuto conoscenza, né, tantomeno la sorella che, al contrario, vorrebbe tener tutto nell’ombra per non arrecare grande dolore alla madre stessa.
Ma la testimonianza è davvero scottante: in essa la donna confessa un fondamentale segreto del proprio passato, un segreto che avrà il potere di ribaltare – anche somaticamente, per ribellione alla nuova scoperta – Yoel e la sua vita. Con essa tutte le sue certezze di credente e praticante e paladino della verità – un vero ‘Giusto fra le nazioni’, anche se ancora non lo sa – saltano ed il senso del paradosso, concetto tanto amato nella cultura ebraica, si rivela in maniera inaspettata. E’, in parte, a livello mentale e contenutistico il pensiero del regista, dunque, virtualmente, autobiografico.
Non a caso, dunque, egli stesso ha dichiarato:
“Sono stato cresciuto con la consapevolezza che essere un ebreo osservante, nonché il figlio e nipote di sopravvissuti all’Olocausto, rappresentasse le radici della mia esistenza, la vera essenza della mia identità: qualcosa di più grande di me e della vita stessa. Da bambino ero incantato dalle storie dei miei nonni sull’Olocausto. Sono cresciuto tra storie eroiche, incredibili, in cui la vita e la morte erano separate da una linea sottile.
Per me erano le migliori storie d’avventura che ci fossero. Ma la mia vita di tutti i giorni contrastava con questo dramma. Figlio di sopravvissuti dell’Olocausto, sono cresciuto in una famiglia priva di emozioni, dove sentivo che mancava sempre qualcosa. Qualcosa di sfuggente, che rimaneva innominato. Questo enorme abisso mi ha lasciato senza parole. Il copione del film rappresenta il mio sforzo per penetrare attraverso i muri trasparenti del silenzio”.

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