Lettere al Direttore
24 Agosto 2017

Il monsignore contro i fascisti dell’eccidio del ’43

di Redazione | 2 min

Nella polemica in corso fra il signor Mosso e Mons. Perego è stato rievocato Mons. Ruggero Bovelli (la carismatica figura del “Pastor ed defensor” negli anni di guerra) quale modello vincente nel riuscire ad evitare che Ferrara fosse rasa al suolo dai bombardamenti alleati (vedi Argenta o Montecassino). Ma è un paragone forzato, perché il ricorso alle armi non poteva aver niente a che fare con la spasmodica attività informativa dell’Arcivescovo Bovelli (unica autorità riconosciuta rimasta in città in quel fine aprile ‘45) per avvisare gli alleati che i tedeschi in ritirata avevano abbandonato Ferrara.

E non si può assolutamente trascurare che senza gli eserciti alleati sbarcati in Europa a combattere le armate tedesche oggi le nostre città sarebbero agli ordini di Gauleiter nazisti. Ma c’è un altro dettaglio nella storia di Mons. Bovelli che indirettamente smentisce la ripulsa della forza per le necessità di difesa: la vicenda dei morti ammazzati dai repubblichini nel novembre ‘43, quando i fascisti dal grilletto facile pretendevano che il trofeo del mucchio di cadaveri sul muretto del castello rimanesse esposto per giorni al pubblico ludibrio.

Nessuno poteva avvicinarsi e raccoglierli senza suscitare l’ira dei militi. Mons. Mosconi, ben sapendo che per soverchiare la prepotenza armata repubblichina non bastavano le esortazioni di pace, ricorse all’intimidazione di altre più potenti armi, quelle dell’esercito tedesco. Si rivolse, infatti al generale comandante la piazza, informandolo che se non si fosse subito posto fine alla macabra ostentazione, sarebbe andato l’Arcivescovo in persona, rivestito di paramenti sacri, a raccogliere pietosamente quei morti.

Al comandante tedesco bastò una secca telefonata al prefetto repubblichino per far esaudire immediatamente la richiesta (e conferire al presbitero un’autorevolezza che gli tornerà molto utile nell’immediato futuro, quando si scontrerà coi Quisling locali).

Sarebbe quindi molto interessante riuscire a sapere, per arguire la direzione in cui tirerà il vento ideologico in Diocesi (altra e ben diversa cosa dalla posizione dottrinale), se Mons. Perego ritiene verosimile che si sarebbe ottenuto dai violenti repubblichini quello stesso risultato se invece di un’ingiunzione telefonica di un comandante tedesco ci fosse stata la benedice interlocuzione di un abate tedesco.

Paolo Giardini

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