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22 Agosto 2017
Un ricordo del grande attore scomparso

Jerry Lewis. Addio a un grande genio

di Redazione | 4 min

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Era nato Joseph Levitch, il grande e geniale Jerry Lewis – come, da sempre, l’abbiamo conosciuto.
Correva l’anno 1926 e fu a Newark, presso la periferia di New York, che i suoi genitori russi di origine ebraica gli diedero i natali. Ma era figlio d’arte, in fondo: il padre, Daniel Levitch, era un attore di vaudeville e Joseph iniziò così a calcare le tavole dei palcoscenici teatrali fin da piccolo.

Lui è stato veramente un pezzo di Storia del Cinema, di Grande Cinema: non era solo infatti, il ‘Picchiatello’ che i bimbi del secondo dopoguerra hanno adorato, crescendo a ‘pane e Jerry Lewis’.
E non era solo un fantastico attor comico, della comicità più lieve ed intelligente ad un tempo, tipicamente ebraica: non a caso Hollywood degli Studios, per quanto concerne la vis comica è, quasi interamente ebraica.
Basti ricordare, prima di Jerry, i mitici Fratelli Marx o Marks che dir si voglia, e poi alcuni suoi ‘contemporanei, come l’altro splendido novantenne Mel Brooks, e Walter Matthau, ed Elaine May e l’inesauribile e sempre splendido Woody Allen, per non citarne che alcuni.
Una matrice li ha accomunati un po’ tutti: il tocco – ancora una volta di origine ebraica della psicanalisi che gioca a rimpiattino col citarsi addosso e l’autoironia – in puro stile Freud ed il suo Motto di spirito.
E Lewis, nella sua cifra apparentemente semplice, in realtà molto sofisticata ed arguta, non ha fatto che riprendere di continuo questa proprietà; non era, solo attor comico: dopo i 10 anni di enormi successi trascorsi al fianco di Dean Martin, la sua spalla ed ottimo cantante di origine italica, al secolo, Dino Crocetti, continuando nella sua luminosa carriera, da solo, dimostrò ben di essere lui l’anima ed il cervello del sodalizio.
Era soggettista, sceneggiatore, poi divenne regista, produttore ed il suo genio – come accade a Woody – fu evidente anche a chi, sic et simpliciter, lo riteneva un esecutore di copioni già scritti.
Basterà semplicemente, ora che non c’è più, riguardare la scenetta, tra le altre, della macchina da scrivere, un miracolo di lavoro mimico, di perfetta sincronia tra corpo e cervello, glossa sonora e, perché, no? di umanità – un’altra delle sue caratteristiche forse meno note: a lui si deve la nascita di Telethon, per non citare che una delle sue cose che più ‘sapevano di buono’ – come si usa dire adesso.
Ma, per fortuna, quello che è stato attore, sceneggiatore, regista, produttore, cantante e inventore di nuove tecnologie, insomma uno dei più grandi showman del Novecento, è stato festeggiato, al compimento dei suoi 90 anni, dal MoMa, il Museum of Modern Art di N. York, che lo ha celebrato con una personale. Un nevrotico gigante della moderna comicità, fu definito, e solo l’Europa ha saputo capirlo ed amare per davvero…e non a caso, vogliamo qui dire, come così è per Allen: la loro matrice – forse quella del loro genoma addirittura, non appartiene alla Grande Mela o agli States, più in generale; la loro cultura e genialità nasce da più lontano, da una civiltà plurimillenaria che riesce a capirli e ad amarli per ciò che sono (stati) e sono.
Jerry Lewis è stato osannato da Jean-Luc Godard – uno dei padri della Nouvelle Vague – che lo descriveva come «l’unico regista americano al giorno d’oggi che cerca di sperimentare qualcosa di nuovo e originale nei propri film».
E così la vecchia Europa, nei ‘panni’ della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, nel 1999, gli conferì il Leone d’Oro per consacrare l’intera sua vicenda artistica e in quelli di Cannes, nel 2013,  gli dedicò un tributo speciale, alla presentazione del film Max Rose di Daniel Noah di cui lui era il protagonista.
E a chi gli chiese cosa serve per far un buon film ebbe a rispondere:
” (…) Per fare un film meraviglioso, non si può avere un cervello vuoto, certo, ma soprattutto non si può avere un cuore vuoto”.

Ciao, Jerry: rimarrai per sempre nei nostri cuori bambini…

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