Cronaca
21 Luglio 2017
Il corpo presenta una ferita sopra la fronte, risalente ad alcuni giorni prima del decesso

Suicidio in carcere, effettuata l’autopsia

di Redazione | 2 min

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Il volto di Roman Horoberts presenta una lesione nel cranio, sopra la tempia, riconducibile però a giorni prima.

Sono le prime indiscrezioni che emergono dall’autopsia effettuata dal medico legale Sara Chierici (affiancata per la parte tossicologica dalla dottoressa Anna Talarico) su incarico del pm Giuseppe Tittaferrante sul corpo del ragazzo ucraino, trovato morto in una cella dell’Arginone con i jeans attorno al collo. Il consulente del pubblico ministero avrà 70 giorni per depositare le proprie conclusioni.

Dalle prime informazioni la ferita sarebbe una lacerazione cutanea, già registrata dal medico dell’Arginone prima dell’ingresso in carcere, e risalente a qualche giorno prima del decesso. Altre leggere escoriazioni sono state riscontrate sul dorso delle mani, lievi ferite compatibili con i pugni che Roman diede contro la macchinetta del caffè. Il corpo non presenta altri segni particolari. Per quanto riguarda invece la causa della morte non ci sono dubbi sulla causa: asfissia meccanica.

Da quanto si apprende Horoberts è rimasto agitato quasi tutta la notte. Il compagno di cella è riuscito ad addormentarsi solo attorno alle 6, per essere svegliato un’ora dopo dall’urlo dell’inserviente che stava facendo il giro delle celle per i giornali del mattino.

L’episodio drammatico del suicidio in carcere aveva già fatto intervenire il sindacato del Sappe e il Pd di Ferrara. Ora è la Camera Penale Ferrarese “Avv. Franco Romani”, che ha appreso dai media locali come il 30enne “ si trovasse nell’istituto di pena da poche ore, dopo essere stato tratto in arresto in flagranza di reato e in attesa della celebrazione di giudizio direttissimo. La notizia, al di là del cordoglio per la morte del giovane, riaccende le preoccupazioni per i troppi decessi all’interno delle carceri, segno evidente di un perdurante disagio che accompagna la detenzione e, in particolare, la custodia in attesa di giudizio”.

Nel caso specifico “la vicenda risulta ulteriormente preoccupante per il fatto che il detenuto avesse cercato, già prima dell’arresto, di porre fine alla propria vita”. La Camera Penale ribadisce, quindi, “la necessità di un intervento dello Stato volto a garantire migliori condizioni di vita all’interno delle carceri onde assicurare, anche attraverso un potenziamento del personale e delle strutture, quella indefettibile opera di individualizzazione del trattamento che può scongiurare gesti di questo tipo”.

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