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15 Giugno 2017
Grande mostra a Torino in due sedi, Castello di Rivoli e Gam-Galleria civica d’arte moderna e contemporanea

L’emozione dei colori nell’arte

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Il mondo dei colori non si può dominare con l’intelletto;

dobbiamo comprendere questa realtà col sentimento.

Rudolf Steiner

Il colore è l’anima della natura e dell’intero cosmo, e noi prendiamo parte a quest’anima in quanto partecipiamo, sperimentando, alla vita del colore.

Rudolf Steirner

Dio geometrizza sempre.

Platone

 

A cimentarsi sul tema – vasto complesso e difficile – del colore è una grande mostra aperta sino al 23 luglio a Torino in due sedi (Castello di Rivoli e GAM-Galleria civica d’arte moderna e contemporanea), L’emozione dei colori nell’arte: quattrocento opere realizzate da centotrenta artisti internazionali tra la metà dell’Ottocento e oggi, con l’intento di ripercorrere la storia dell’uso del colore nell’arte nel periodo considerato. Un approccio da diversi punti di vista, filosofico, biologico, antropologico e neuroscientifico. L’intento è di lasciare definitivamente alle spalle l’obsoleta concezione solipsistica e “puro-visibilista” della visione. Come splendidamente ha sintetizzato Maurice Merleau-Ponty a proposito di Cézanne.

Cézanne non cerca di suggerire con il colore le sensazioni tattili che darebbero la forma e la profondità. Nella percezione, primordiale, tale distinzioni fra il tatto e la vista sono ignote. Ѐ la scienza del corpo umano che ci insegna poi a distinguere i nostri sensi. La cosa vissuta non è ritrovata o costruita in base ai dati dei sensi, ma si offre di primo acchito come centro donde essi si irradiano. Noi vediamo la profondità, il vellutato, la morbidezza, la durezza degli oggetti – Cézanne dice perfino: il loro odore. Se il pittore vuole esprimere il mondo bisogna che la disposizione dei colori rechi in sé questo Tutto indivisibile; altrimenti la sua pittura sarà un’allusione alle cose e non le offrirà nell’unità imperiosa, nella presenza e nella pienezza insuperabile che per noi tutti del reale. (1962).

La mostra, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, indaga sull’uso del colore nell’arte suggerendo significati che tendono a ridisegnare una nuova storia del colore e dell’arte astratta, attraverso una molteplicità di narrazioni intessute di memorie, spiritualità e suggestioni sinestetiche, in grado queste ultime di coinvolgere anche tutti gli altri sensi. Così tra le prime novità, spicca, quella di aver individuato i precedenti dell’arte astratta occidentale nelle opere realizzate nel XVIII secolo dai seguaci dell’Hindu Tantra, un insieme di testi e di insegnamenti spirituali legati a tradizioni esoteriche indiane e in genere orientali.

Nel Settecento le indagini scientifiche sul colore di Isaac Newton e un secolo dopo le teorie di Johann Wolfgang Goethe, pur con le loro visioni opposte, hanno influenzato gli artisti. Per esempio la fascinosa Alba, forse a Margate, di Turner (1840-1845), intrisa di luce, è ispirata alla Teoria dei colori del 1810 di Goethe: L’intera natura si rivela attraverso il colore al senso della vista. Ora affermiamo, seppure in certa misura ciò possa suonare singolare, che l’occhio non vede alcuna forma, in quanto soltanto chiaro, scuro e colore stabiliscono insieme ciò che distrugge un oggetto dall’altro e la parte di un oggetto dalle altre.

Joann Wolfgang von Goethe, 1810

Tra scienza, filosofia, sociologia si snodano le opere esposte in un tripudio di tinte e forme disparate nelle tematiche, nel linguaggio, nella concezione e negli intenti, unite dall’attenzione al colore, usato in modo diverso da ciascun artista. Una piccolissima tela di Manet, Il limone, (1880) giunta dal Musée d’Orsay, vede il frutto spiccare giallo e polposo su un fondo scuro. Con il suo colore intriso di luce, elemento fondamentale, attira il nostro sguardo elevando l’umile soggetto a valore assoluto.

Sfilano le opere di artisti famosi. Munch, dopo il suo ricovero in una clinica di Copenaghen nel 1908-1909, affida a un’inquieta cromia le sue condizioni psicologiche. Il ritratto dell’amica Ingeborg con le braccia dietro la schiena del 1912-1913 è costruito da linee inquiete di solo colore, pennellate fluide, dai forti contrasti, come in attesa di un’imminente tempesta.

Piet Mondrian, l’artista olandese inventore di un radicale astrattismo, affida al colore il ruolo dell’emancipazione della pittura dalle forme tradizionali.

Vasilij Kandinskij, uno dei primi maestri dell’astrattismo e fondatore del Blaue Reiter, nel 1911-1912, pubblica Lo spirituale nell’arte e nel 1926 Punto, linea, superficie. Nei suoi scritti il colore, insieme alla forma, con la sua <<forza psichica>> ha il potere di fare <<emozionare l’anima>>. Ѐ quello che succede con Impressione VI. Domenica, del 1911, una ridda di colori che potrebbero essere suoni. Stretto è infatti per l’artista il rapporto tra pittura e musica, come denotano i titoli delle sue opere: impressioni, composizioni, improvvisazioni.

Seguono altri artisti ciascuno con la sua opera fortemente cromatica, da Gabriele Münter a Marianne Verefkin, da Matisse a Kupka, da Klee a Balla a Russolo. E ancora Depero, Hans Richter. Quest’ultimo, artista molto interessante, entrato nel movimento Dada il 15 settembre 1916, lavora in quegli anni a una serie di undici ritratti fra i quali Anima locomotrice, Ritratto visionario, del 1916, in cui sperimenta un uso del colore più libero, precedente alla rielaborazione dell’occhio e ai consueti schemi compositivi.

Pinot Gallizio <<archeologo, botanico, aromatario, chimico, partigiano delle Langhe>>, come si presentava nel 1958 nel catalogo della prima mostra alla Galleria Nazionale di Torino, nel 1955 aveva creato ad Alba un “Laboratorio sperimentale per una Bauhaus immaginista”, dove elaborò un utilizzo di colori di origine vegetale.

Nella sua “pittura industriale” la tela veniva cosparsa di colori ed esposta alle intemperie, e in seguito venduta un tanto al metro. Una rivoluzione e una sfida al mercato dell’arte. Tra le sue riflessioni intorno al concetto di materia-colore, ecco un quaderno di schizzi: <<Segni e dodecofania dei colori equipollenti e atonali>>.

Un esempio, è l’intrigante senza titolo, del 1958.

L’innovazione tecnologica ha permesso di aggiungere un ulteriore livello nel processo di messa in immagine: la riproduzione cine-fotografica, analogica prima o poi digitale, delle immagini. Quando guardiamo la riproduzione digitale di un quadro proiettata su uno schermo, ciò che esploriamo con gli occhi è l’immagine di un’immagine.

Le storie del colore moderno sono tante, una per ogni artista. Peccato che i curatori abbiano tralasciato un grande innovatore della ricerca cromatica come Seurat.

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