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24 Maggio 2017
Prima personale del pittore nella sua città di nascita a dieci anni dalla scomparsa

Salvatore Nocera, con un decennio di ritardo

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Bologna ricorda Salvatore Nocera, a dieci anni dalla sua scomparsa, con la prima personale del pittore nella sua città di nascita, nella Sala Ercole di Palazzo d’Accursio, fino 23 luglio 2017. La mostra dal titolo Salvatore Nocera. Un decennio di ritardo è stata curata da Elisa del Prete (catalogo associazione Bologna per le Arti). L’esposizione è nata da un’idea di Mario Giorgi, autore che ha conosciuto l’artista in vita, e realizzata grazie a Eva Picardi e alla madre Felicia Muscianesi, eredi testamentarie di Nocera e promossa nell’ambito delle attività dell’Associazione Culturale Bologna per le Arti.

Salvatore Nocera nasce il 4 luglio 1928 a Bologna da una madre bolognese, Antonia Mazzanti, proprietaria della Locanda Galliera, e padre siciliano che li abbandonerà quasi subito. Grazie al sostegno incondizionato della madre Nocera studia prima alla facoltà di Architettura di Firenze, rinunciando tuttavia di laurearsi, quindi frequenta per alcuni anni, tra ’52 e’53, l’Accademia di Belle arti di Bologna. Ben voluto e sostenuto per il suo talento artistico da Virgilio Guidi, preferirà iniziare il suo percorso artistico da autodidatta come scultore, frequentando i laboratori di Ugo Guidi e Cleto Tomba, per dedicarsi poi quasi subito alla pittura.

Ѐ del 1949 la sua partecipazione al Premio Cremona con un grande Crocefisso accettata grazie all’intervento di Carlo Carrà, presidente di giuria, contro il parere degli altri membri. Nel ’53 realizza la sua prima bi-personale a Venezia assieme all’amico pittore Emilio Contini – con una presentazione di Virgilio Guidi – in cui propone una serie di disegni.

Nel corso degli anni Cinquanta, con il diffondersi in Italia di una serie di iniziative espositive legate alla celebrazione della Resistenza, Nocera viene invitato a partecipare a diverse mostre in regione assieme a altri artisti figurativi tra cui Aldo Borgonzoni, con cui l’artista coltiva uno scambio proficuo in una fase in cui a Bologna sta invece iniziando ad affermarsi un tipo di pittura astratta e volutamente ”disimpegnata” che sfocerà poi nell’informale.

Presto però si trova a prendere le distanze da un tipo di realismo sociale in cui non riesce a riconoscersi, per dedicarsi invece a una ricerca pittorica del tutto personale, in cui mescola l’ordine della pittura contemporanea del gruppo milanese Novecento alla grande pittura italiana rinascimentale dei cieli veneti e delle forme statuarie di Piero della Francesca e Masaccio. Nel ’54 incontra Carolina Agosti che diventerà sua moglie. In seguito al matrimonio si trasferisce a Caprino Veronese, dove la moglie gestisce la farmacia di famiglia.

Dal 1959 si reca periodicamente a Parigi. Affitta uno studio in Boulevard de Clichy a Montmartre, quartiere denso di vita intellettuale, dove risiedevano anche diversi altri artisti italiani.

Iscritto al sindacato Nazionale degli Artisti Francesi, partecipa con regolarità al Salon des Indépendants e al Salon d’Automne dove all’inizio degli anni Novanta esporrà anche il suo ultimo lavoro, un trittico di oltre 6 metri, un’opera dall’umore testamentario che tra colpi di colore, scritte, volti cancellati, svela la condizione di inquietudine che lo fa stare davanti alla tela per tutta la vita.

Ѐ a Parigi che, finalmente a contatto con una scena artistica di più ampio respiro, Nocera giunge alla maturazione di una ricerca pittorica più astratta che attinge ancora una volta alla storia dell’arte, per tradurre, sempre in chiave del tutto singolare, l’ultimo impressionismo in un espressionismo più attuale.

Lo stesso Arcangeli definisce, questo momento del 1954 l’«Ultimo Naturalismo» e che attingendo alla scuola parigina, venne poi generalmente classificato come informale, una ricerca pittorica dall’impronta decisamente più astratta e materica che detterà legge a Bologna per almeno un ventennio. Le opere di Nocera, sedotto dall’informale, sono di una sensibilità quasi corrosiva, come se il pittore volesse bruciare rapinosamente il contatto con la natura e le sue presenze. Pennellate rapide e quasi strappate, nervose nell’intreccio; colori e fondi caldi, intrisi d’umori, tali da alludere a maturazioni avvenute e materie prossime al disfacimento. Tuttavia la sua ricerca non abbandonerà mai la figurazione e anche laddove l’espressione si farà più astratta non sarà mai rivolta a un’indagine puramente concettuale bensì sarà sempre guidata dalla necessità di penetrare ulteriormente le possibilità formali, di andare oltre la rappresentazione per giungere a una figurazione potenziale.

Dopo il fallimento del primo matrimonio e momenti di grande solitudine e depressioni ritroverà coraggio e nuove linfe di ricerca intellettuale con una nuova musa, Felicia Muscianesi psicoterapeutica ed appassionata d’arte.

Gli ultimi vent’anni di produzione sono caratterizzati da una pittura fortemente materica e bulimica, di cui l’artista, affidandosi anche a collage e assemblage come alle fotografie e alla carta stampata, sembra voler esprimere in modo ossessivo nuove forme e materiali (spesso trovati per caso: carta assorbente, da regalo, vecchi poster e cartoline, etc.), dimostrando una flessibilità tecnica e mentale, e una fiducia nelle possibilità dell’arte e dell’espressione, assai rare tra i suoi contemporanei.

La sua è una rassegnazione ultima di fronte all’impossibilità di fare, del fare davvero, un tentativo ultimo di restare vivo, nella pittura e nell’arte, fino in fondo, come sempre è stato consapevole dell’unica sua ragione di vita.

Negli ultimi anni le cromie si fanno sempre più evanescenti, al limite della presenza, la sua ricerca più sottile, leggera, quasi trasparente. L’arte non muore ma svanisce.

Di Nocera restano alcuni diari che pur non avendo una vera e propria forma letteraria raccolgono interessanti spunti e appunti su riferimenti, visioni, altri autori Salvatore Nocera muore a Bologna il 5 settembre del 2008.

La collezione dei suoi libri, oltre 8000 volumi, è stata donata alla biblioteca Comunale dell’Archiginnasio.

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