Cronaca
16 Maggio 2017
Le critiche dell'avvocato Marsiglia: "Condannati anche per un reato prescritto, speriamo di trovare a Venezia giudici scevri da pregiudizi"

Paula, polverizzata dal fuoco e inghiottita dal Po

di Daniele Oppo | 4 min

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Percossa con inaudita violenza perché non voleva più prostituirsi, né drogarsi, né spacciare. Uccisa perché voleva tornare a casa, in Romania, e minacciava di denunciare tutti. Bruciata, forse mentre era ancora in vita, per farla sparire per sempre, polverizzata dal fuoco e inghiottita dal Po.

Sono uscite le motivazioni della sentenza del tribunale di Rovigo che ha condannato all’ergastolo con isolamento diurno di due mesi Sergio Benazzo e Gianina Pistroescu per l’omicidio e la successiva soppressione del cadavere di Paula Burci, la giovanissima ragazza romena portata in Italia e avviata alla prostituzione dalla coppia, per poi essere uccisa tra il 16 febbraio 2008 (data dell’ultima chiamata telefonica con la Pistroescu) e i primi di marzo dello stesso anno (venne ritrovata solo il 24, a Zocca di Ro, sull’argine golenale). Ma è molto probabile che neppure con quest’ultima sentenza la povera Paula troverà finalmente la pace.

La super-teste decisiva. Una sentenza che arriva dopo l’annullamento da parte della Cassazione delle due condanne già ottenute in primo grado a Ferrara e in appello a Bologna per incompetenza territoriale del tribunale estense. Una sentenza che, però, arriva esattamente alle stesse conclusioni. Benazzo e Pistroescu sono i responsabili del brutale omicidio, in concorso con altri soggetti mai identificati.  A loro carico – dettagliano i giudici – ci sono le prove biologiche (tracce di Dna ritrovate sotto le unghie di Paula), riscontri testimoniali tra i quali, soprattutto, la super-teste Jana Serbanoiu, le cui dichiarazioni forniscono la base che gran parte della sentenza: fu lei a raccogliere la confessione della Pistroescu in carcere in Romania: la coppia – che risiedeva a Villadose (RO) – ospitava Paula a casa di Benazzo, che chiedeva 180 euro per l’ospitalità e 15-20 euro a viaggio verso Ferrara, dove la giovane si prostituiva. Tutto questo prima di essere ceduta a un gruppo di malavitosi (albanesi e/o marocchini e italiani) per ripagare un debito che Benazzo avrebbe avuto con loro.

Il prezzo della ribellione. Ma Paula si ribellò. Non voleva più prostituirsi, non voleva assumere cocaina (veniva costretta e tracce dell’assunzione sono state riscontrate anche dagli esami biologici sui resti del cadavere), non voleva neppure spacciarla. Voleva tornare a casa. Lo disse a Benazzo e Pistroescu, disse che altrimenti avrebbe denunciato tutti. Una ribellione che Paula pagò a prezzo della vita. Gli imputati, insieme a un gruppo di malviventi mai identificati – ma gravitanti, secondo quanto emerso, attorno a una locanda della zona usata come ‘albergo a ore’ – “concorsero a percuoterla con inaudita violenza, ad ucciderla ed infine a bruciarne il cadavere che, occultato sotto degli alberi secchi nella golena del Po, era destinato ad essere trascinato via dalla piena se non fosse stato accidentalmente scorto da due ragazzi che passeggiavano sull’argine”. Da quanto emerso, mentre la Pistroescu teneva ferma Paula, mentre Benazzo contribuiva al pestaggio insieme agli altri.

Uno dei reati è prescritto ma i giudici lo hanno considerato lo stesso. Benazzo e Pistroescu sono stati così condannati all’ergastolo per l’omicidio aggravato più due mesi di isolamento diurno per la soppressione del cadavere. Ma proprio qui la sentenza cade in errore: l’ultimo reato – preso in considerazione per commisurare la pena dell’isolamento diurno – al momento della sentenza si era ormai prescritto essendo passati più di 8 anni e 7 mesi dalla sua commissione (ovvero la pena massima prevista dalla legge più un quarto, termine massimo entro cui può prolungarsi la prescrizione per effetti sospensivi o interruttivi), senza che sia intercorsa una sentenza irrevocabile.

Le critiche dell’avvocato Marsiglia. Ed è uno dei motivi che porta l’avvocato Rocco Marsiglia – difensore della Pistroescu – a non essere parco di critiche verso i giudici rodigini, e non solo: “Se la sentenza dei giudici di Ferrara lasciava molto a desiderare, quella emessa dai giudici di Rovigo è riuscita nell’impresa di far addirittura peggio – afferma il legale -: invero, il silenzio dei giudici rodigini sulle innumerevoli questioni sollevate dalle difese è stato, per certi versi, ancora più assordante. Peccato, perché quei giudici avevano la possibilità di riscrivere le pagine più controverse di questa triste vicenda, a cominciare dal modo utilizzato dagli inquirenti estensi nella raccolta dei dati investigativi, messi poi a disposizione delle difese in modo tutt’altro che completo. La verità è che quei giudici hanno sempre percepito questo processo come una sorta di ‘seccatura’, di ‘penitenza’ da espiare, neanche fossero stati i destinatari del sonoro ceffone dato dalla Corte di Cassazione in relazione a quel ‘ciclopico abbaglio’ preso in relazione alla competenza per territorio, in poche parole di un qualcosa di cui sbarazzarsi prima possibile. Prova ne è il fatto – aggiunge l’avvocato – che i due imputati sono stati condannati non solo per il reato di omicidio, ma anche per quello di soppressione di cadavere; peccato però che quest’ultimo reato, al momento della lettura del dispositivo, fosse già prescritto, e sarebbe bastato un semplice calcolo aritmetico per rendersi conto di ciò. E questo la dice lunga sulla ‘fretta’ dei giudici rodigini di liberarsi di quella ‘fastidiosa patata bollente’. Speriamo – conclude Marsiglia – solo di trovare a Venezia dei giudici che, scevri da pregiudizi, siano desiderosi di andare davvero a fondo sulle numerosissime criticità evidenziate dalle difese”.

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