Cronaca
28 Aprile 2017
I figli di Verri in ospedale a Cona per trovare l'agente Marco Ravaglia

“L’omicidio di mio padre si poteva evitare”

di Marco Zavagli | 2 min

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“Marco non ha colpe, a differenza di qualcun’altro”. Hanno li occhi lucidi Emanuele e Francesca Verri all’uscita del reparto di chirurgia, dove è ricoverato Marco Ravaglia. Ieri, dalle 13 alle 14, i due figli di Valerio Verri, la guardia volontaria uccisa da ‘Igor’ l’8 aprile, sono andati in ospedale a Cona per incontrare il collega e amico di loro padre, rimasto ferito nella sparatoria.

Un’ora di colloquio e parole toccanti, con tante lacrime versate ma un sollievo comune. “Marco è molto provato – riporta Emanuele -. Volevamo fargli sapere che gli siamo vicini in tutto e per tutto. Lui è una vittima, come nostro padre. Lo abbiamo visto molto scosso emotivamente. Non lo conosco benissimo, ma riesco a immaginare il rapporto che aveva con nostro padre. Si conoscevano da tempo e negli ultimi 4 anni capitava spesso che lavorassero fianco a fianco. Il loro era un rapporto fraterno”.

“Gli abbiamo detto che quel rapporto deve averlo anche con noi – prosegue Francesca -. Deve tornare a frequentare la nostra casa come prima, anche se il suo amico Valerio non c’è più”.

Rassicurazioni che hanno comprensibilmente colpito in modo positivo l’agente di polizia provinciale. “Si è sentito sollevato, aveva paura che potessimo in qualche maniera colpevolizzarlo per quanto successo”, conferma Francesca. I fratelli Verri parlano poi della foto di Igor che già girava nella chat di whatsapp di alcuni agenti della Provinciale. “Anche tra di loro evidentemente – riflette Emanuele – c’era la consapevolezza molto chiara dell’esistenza di un pericolo. Per questo ci chiediamo: se c’era un pericolo evidente perché non è stato dato l’allarme? sicuramente Marco e nostro padre quella sera non dovevano trovarsi in quella maledetta situazione”.

Solo il giorno dopo, il 9 aprile, è stato bloccato il servizio delle guardie volontarie e della Polizia provinciale nella zona. “L’omicidio di mio padre si poteva evitare, così come il ferimento di Ravaglia – riflette Emanuele -; abbiamo tanti perché da chiedere. Ci penserà il nostro avvocato a farlo”.

“Non vogliamo puntare il dito contro nessuno – specifica Francesca -. Noi vogliamo solo la verità, vogliamo sapere cosa è successo quella sera e i giorni prima, nient’altro. Crediamo che sia un nostro diritto”.

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