Politica
26 Aprile 2017
Primarie, idee 'staliniste' e cambiamento. L'economista intervistato da Estense.com

Marattin: “Non basta essere renziani su Facebook”

di Marco Zavagli | 6 min

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E’ stato il primo renziano di Ferrara. Era alla Leopolda prima ancora che si iniziasse a parlare di Leopolda. Ha iniziato a “picconare” alcuni politici locali, anche del suo partito, nello stesso momento in cui Renzi parlava di rottamazione. Oggi è consulente economico di Palazzo Chigi. Luigi Marattin, a distanza di quattro anni c’è stata la rottamazione? In Italia e a Ferrara?

“Premetto che questa non è – né è mai stata – una gara a chi è arrivato prima, e che non mi piace il termine “renziano” (i nostri guai sono iniziati quando ci siamo messi ad aggiungere i suffissi -ani ai cognomi dei leader). Ma mi lasci parafrasare Forrest Gump. Renziano non è chi prima e’ arrivato. Renziano è – invece – chi il renziano dimostra di essere coi fatti. Alcuni dirigenti locali hanno fatto molta attenzione a ripetere bene la “lezioncina” delle nuove politiche renziane su Facebook o presentando Renzi sul palco. Salvo poi fare il contrario nell’azione politica locale. Promuovere referendum contro il Jobs Act (o accordi in tal senso), alzare le tasse, difendere le inefficienze delle piccole aziende pubbliche locali, scattare sull’attenti ogni volta che la Cgil apre bocca. Sono tutte azioni – legittime, per carità – ma che sono l’opposto dell’approccio politico che a parole si dice di condividere. In generale, oltre a cominciare a smuovere il Paese, la rivoluzione di Renzi ha finora portato ad un ricambio di classe dirigente nazionale (e a Ferrara abbiamo l’orgoglio di esserci riusciti persino prima di Renzi). Ora occorre investire maggiormente sulle due fasi che necessariamente precedono il ricambio: la formazione e la selezione della classe dirigente”.

Dopo Prodi anche Scalfari annuncia che non voterà Renzi. Renzi perde fascino?

“Veramente non mi risulta che il Presidente Prodi abbia annunciato di votare per Orlando. Così come non mi risulta che lo abbia mai fatto quello che ritengo un grande intellettuale come Eugenio Scalfari. Riguardo al “fascino”, non si misura da alcuni voti “famosi”, ma da quanti voti prenderà domenica. E sono convinto che saranno tanti”.

La grande incognita del 30 aprile è l’affluenza. Qual è l’asticella secondo lei sotto la quale non si può scendere, pena il fallimento delle primarie? O, capovolgendo il discorso, una grande affluenza cosa porterebbe in dote al vincitore della competizione?

“Chiamare prima i propri iscritti e poi i simpatizzanti ad eleggere la linea politica e leadership non è mai un fallimento. Specialmente in un contesto in cui gli altri partiti lo fanno seguendo i diktat di un uomo solo al comando. Poi sono 12 anni che il centrosinistra fa le primarie, e ogni volta si paventa il rischio-flop… salvo poi contare a milioni i voti”.

Non sono mai stato un appassionato di Renzi, ma in un recente incontro a Pontassieve con giovani militanti del Pd, l’ex premier ha detto una cosa – direbbe Moretti – “di sinistra”: «Dobbiamo ripartire dal tema della disuguaglianza tra bambini: quando nascono i bambini in alcuni luoghi, c’è chi mi dice si può prevedere che fine fanno nove di loro su dieci. E questo non è accettabile». Faccio notare che secondo il sottoscritto il centrosinistra è finito dopo il faccia a faccia del 2006 tra Prodi e Berlusconi. Quando il Cavaliere accusò il Professore di voler rendere uguali il figlio dle professionista e quello dell’operaio, quest’ultimo negò quella volontà. Che ne pensa?

“Sono perfettamente d’accordo con lei. Non sulla fine del centrosinistra, ma sul fatto che l’uguaglianza dei punti di partenza (indipendentemente dalla provenienza familiare) debba essere il pilastro di ogni pensiero politico progressista moderno. Specialmente in questa epoca, in cui il consolidarsi della globalizzazione ha acuito le disuguaglianze all’interno delle società sviluppate. Compito di un centro sinistra moderno non è – come qualcuno ancora sogna – appianare ex-post queste disuguaglianze, ma garantire le stesse opportunità ex-ante. E credo che ci sia ancora tanto da fare su questo versante”.

In un recente dibattito il coordinatore provinciale della mozione Orlando, il vicesindaco Maisto, ha fatto intendere di riferirsi a lei quando al nostro giornale ha dichiarato che ci sono atteggiamenti stalinisti nel nostro partito. Cosa risponde?

“Non faccio polemiche con Massimo, ottimo amministratore e preziosa risorsa di questo territorio. E poi ha fatto una cosa per cui lo stimo molto: ha messo la faccia su una battaglia, senza nascondersi (cosa non proprio comune, a Ferrara). E anche se ha subito una dura sconfitta – addirittura nel suo circolo – questo non inficia il valore della sua scelta. Sul merito della cosa, mi accompagna sul tetto del grattacielo, così lo ripeto con un megafono? “chi si oppone alle riforme lo fa per mantenere i propri privilegi”. Massimo, senza dubbio in buona fede, ha capito “chi si oppone alla riformA”, così sembra che o uno prende a scatola chiusa una riforma renziana, o niente. Per carità, l’azione riformatrice deve essere il più possibile condivisa e validata (e lo sono state tutte le riforme di Renzi, che sono cambiate molto da come erano uscite dai nostri uffici, proprio per venire incontro alle critiche). Ma spesso in Italia si vede un’opposizione ad ogni tipo di cambiamento, per mantenere uno status-quo fatto di inefficienze, ingiustizie e privilegi”.

Il Pd può essere ancora autosufficiente?

“Cerchiamo di capirci. C’è qualcuno che ha nostalgia dei governi con 18 partiti e 102 sottosegretari? Quelli in cui i ministri dei partiti dello zero-virgola andavano in piazza a protestare contro il loro stesso governo? Quelli in cui anche per fare un decreto ministeriale bisognava sentire tutti e 18 i segretari (e le 118 correnti interne) salvo non fare nulla se uno solo non era d’accordo? Beh, io no, per nulla. E sono francamente stupito che qualcuno chiami tutto ciò “confronto democratico” o lo connoti di caratteristiche positive. Io lo chiamo paralisi, antitesi del cambiamento. E non ci trovo proprio nulla di democratico, perché non vedo come così si possa rispettare la delega politica che il popolo sovrano assegna agli eletti. Alle prossime elezioni il Pd si presenterà con un proprio progetto estremamente chiaro per continuare – con ancora più decisione – a cambiare questo Paese, e su quel progetto chiederà il voto degli italiani”.

Con quale sistema elettorale si augura di andare al voto?

“In tempi in cui tanti tornano a sognare (ma avevano mai smesso?) un sistema in cui il governo si fa dopo il voto, con calma, al riparo da occhi indiscreti e assicurando che “tutto cambi affinché tutto rimanga com’è”, io continuo a sognare – come ho sempre fatto – un sistema elettorale in cui si confrontano due o più partiti (con programmi e leadership alternative), e chi vince governa per 5 anni cercando di realizzare il mandato ricevuto. Poi gli elettori decidono se conservarlo o mandarlo a casa. Perché tutto questo sia considerato normale all’estero (qualcuno forse si scandalizzerà che il prossimo presidente francese – chiunque sia – governi avendo avuto al primo turno poco più del 20%?) e sacrilego in Italia, rimane ai miei piccoli occhi mortali un imperscrutabile e fitto mistero”.

Dovesse essere “costretto” a candidarsi?

“L’impegno politico è e sarà parte della mia vita, ma non è la mia vita. Non so dove sarò tra due anni e cosa starò facendo. Ma lasciando stare i discorsi personali, sul piano politico ho da tempo chiarito come la penso. È la domanda che crea la propria offerta (eh sì, sono keynesiano in politica, non in economia!). Mi conoscete, sapete come sono fatto, come penso e come agisco. Se Ferrara avrà voglia di continuità, ha solo l’imbarazzo della scelta all’interno del Pd (e io sarò al fianco del prescelto). Se avrà voglia di affidarsi a incapaci e incompetenti, tra M5S e Lega c’è imbarazzo della scelta. Se invece avrà voglia di un cambiamento radicale pur nell’ambito delle tante cose buone fatte in questi anni, allora occorrerà costruire un’offerta politica in grado di recepire questa domanda di cambiamento”.

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