Cronaca
19 Aprile 2017
Sono lunghe 122 dettagliate pagine le motivazioni della sentenza di condanna all'ergastolo per Fiti e Ruszo. Si parla anche di "Igor"

Omicidio Tartari. “Per gli imputati doveva morire”

processo omicidio tartari
di Daniele Oppo | 4 min

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“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che auguro a voi di non sentire mai”. 

È con le parole di Piero Calamandrei – tra i padri fondatori della Costituzione – che il sindaco Alan Fabbri apre il suo intervento durante la celebrazione del 25 aprile, dopo l’alzabandiera e il picchetto d’onore. 

Morì sul lavoro in Borgo Punta. Si attende l’udienza preliminare

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processo omicidio tartariPierluigi Tartari è stato “fatto morire in condizioni disumane: disumano fu l’averlo abbandonato in luogo remoto, così legato e sofferente, destinato ad una morte lenta per inedia o, in alternativa, come poi è avvenuto, ad un progressivo, doloroso, soffocamento“.

Sono lunghe 122 pagine le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo per Contantin Fiti e Patrik Ruszo, ritenuti due dei tre autori dell’omicidio di Pierluigi Tartari nel settembre 2015. Pagine in cui i giudici della corte d’assise di Ferrara (il presidente Alessandro Rizzieri, il giudice togato Debora Landolfi e i giudici popolari) sviscerano in 12 capitoli e 21 paragrafi ogni dettaglio del processo che ha visto i due giovani condannati per omicidio volontario, rapina, furto in abitazione, uso abusivo di bancomat e porto abusivo di armi.

Nelle motivazioni entra di striscio, almeno tre volte, anche l’uomo più ricercato d’Italia, Igor Vaclavic, che oggi conosciamo con Norbert Feher, il killer di Budrio e del Mezzano, citato per le precedenti rapine commesse con Ivan Pajdek e Patrik Ruszo e perché indicato dalla difesa di Fiti (l’avvocato Alberto Bova) come probabile partecipante alla rapina in casa Tartari al posto del giovane imputato.

“Tartari – scrivono i giudici – è stato picchiato senza apparenti ragioni, atteso che non oppose resistenza e fornì ai rapinatori quanto da loro richiesto; ferito, è stato immobilizzato, imbavagliato e poi trascinato di peso come un animale“. Portato nell’angusto casolare dove verrà ritrovato solo molti giorni dopo, ormai irriconoscibile, soggetto a una morte “dolorosa, cosciente e graduale, una morte crudele, accompagnata da forte sofferenza fisica – legata anche al pestaggio subito circa due ore prima in casa – e psichica per le condizioni di abbandono”.

Una morte voluta da tutti e tre (Pajdek, il capo, condannato a 30 anni anche in appello, Fiti e Ruszo), o perché riconosciuti dalla vittima (sia Pajdek che Ruszo hanno detto che Tartari avesse visto in volto i rapinatori) e volevano godersi senza problemi il frutto di quella rapina e garantirsi l’impunità, o perché volevano tornare nella villetta di Aguscello e finire il lavoro in santa pace. Poco conta, perché “ciò che certo, però, è che abbandonarlo nel luogo equivaleva a causarne volontariamente la morte. La vittima era in condizioni precarie per l’aggressione subita, non poteva certamente fuggire e nessuno gli avrebbe prestato soccorso in tempi ragionevoli. Quindi, egli sarebbe stato destinato a morire di inedia. In più, è stato imbavagliato nel modo […] che l’avrebbe chiaramente condotto in poco tempo alla morte per soffocamento. Si può quindi affermare che – scrivono ancora i giudici -, secondo la volontà degli imputati, Tartari doveva morire“.

Ecco perché la qualificazione di omicidio volontario, in circostanze in cui chi materialmente abbia posto in essere le singole condotte non ha importanza: “Non ha alcuna rilevanza, in proposito, stabilire quali precise azioni abbia compiuti singolarmente ciascuno dei tre complici. È emerso con certezza che tutti e tre, armati in vario modo, hanno partecipato all’aggressione di Tartari, alla legatura e all’imbavagliamento, quindi al trasporto presso il casolare, dove il pover’uomo è stato ulteriormente imbavagliato […]. Tanto è stato fatto di comune accordo con gli altri, i quali, decidendo comunque alla fine di abbandonare la vittima così ridotta nel casolare nascosto (o omettendo di impedire che i complici lo facessero), hanno concorso ad uguale titolo e con identica intenzione nel reato di omicidio volontario“.

Passano così in secondo piano gli altri reati come l’utilizzo indebito del bancomat (1 anno di reclusione aggiuntivo), il porto d’armi (1 anno), la detenzione di armi comuni da sparo (6 mesi), il furto in abitazione aggravato (2 anni) e, infine, la rapina aggravata (4) anni. Per quello che doveva essere solo un furto è diventato prima una rapina – a cui erano preparati e come disse Pajdek in udienza: “Se non succede furto, succede rapina” – e poi un brutale omicidio. Sempre Pajdek disse: “Noi quel giorno quando il signor Tartari non c’era, pensavamo di fare un furto e da un furto è diventata una rapina e dalla rapina è diventato…”. E quel che lui ha lasciato sospeso possiamo, purtroppo, completarlo noi: è diventato un terribile, inumano omicidio.

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