Cronaca
19 Aprile 2017
I giudici che hanno condannato all'ergastolo Ruszo e Fiti stabiliscono la trasmissione degli atti alla procura, rischia anche per ricettazione e falsa testimonianza

“Indagate Rosy per l’ideazione della rapina in casa Tartari”

di Daniele Oppo | 4 min

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È la corte d’assiste a chiederlo: la procura di Ferrara dovrà aprire un fascicolo a carico di Ruszena Sivakova – ‘mamma Rosy’ – la madre di Patrik Ruszo, per valutare il suo possibile concorso nell’ideazione della rapina a casa di Pierluigi Tartari, finita con un brutale omicidio.

Lo si ricava dalle motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Ferrara ha condannato all’ergastolo proprio Ruszo e Constantin Fiti come autori (insieme a Ivan Pajdek, condannato a 30 anni in rito abbreviato con pena confermata anche in appello) dell’omicidio del pensionato di Aguscello il 9 settembre 2015 (a cui si aggiungono i reati di rapina aggravata, uso indebito del bancomat, furto in abitazione e porto abusivo di armi).

“Gli atti processuali – scrive la Corte a pagina 100 – dovranno essere trasmessi alla Procura della Repubblica affinché Sivakova Ruzena sia indagata non solo per il reato di ricettazione, e non tanto per il reato di falsa testimonianza, quanto per il suo possibile concorso nell’ideazione della rapina“.

Secondo i giudici, mamma Rosy – sentita come testimone durante il processo –  “può essere creduta solo quando riferisce che il figlio frequentava Fiti e Pajdek per commettere reati e allorché ella dice di aver appreso dal figlio del coinvolgimento di Fiti nella rapina. Si tratta, peraltro, di circostanze che emergono dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate”.

Insomma, il sospetto è che quanto dichiarò agli inquirenti in fase d’indagine – quando fu fondamentale per rintracciare il ‘capo’ Pajdek – e quanto ha dichiarato in udienza, non solo avesse la funzione di alleggerire la posizione del figlio ma anche quella di proteggere se stessa da un’eventuale incriminazione.

La collaborazione della donna all’individuazione, oltre frontiera, di Pajdek – si legge ancora nella sentenza -, si deve ritenere strumentale all’attenuazione della responsabilità del figlio. […]. Ruszena pensava, quindi, che l’eventuale rivelazione dell’identità del terzo coimputato, ossia Pajdek Ivan, capo della banda, avrebbe comportato un alleggerimento di pena per il figlio”.

A non convincere i giudici sulla estraneità di Rosy alla rapina ci sono poi una serie di fatti circostanziali, di comportamenti e dichiarazioni “irrazionali” o “contraddittorie”: a partire dal fatto che nonostante abbia affermato di aver sentito dei passi in direzione della casa di Tartari e di essersi impaurita, di aver cercato di sbirciare oltre la siepe che separa la casa in cui faceva la badante da quella della vittima, senza vedere nulla, mettendosi alla finestra per controllare (circostanza confermata anche da Pajdek che l’avrebbe vista durante il colpo) e chiamando poi il suo amante per lunghissimi minuti (in cui lui si addirittura si addormenta) non abbia fatto altro. Una chiamata che per i giudici serviva “per precostituirsi una prova a suo favore“.

O, ancora, come il fatto che avesse dichiarato al suo amante di aver sentito Tartari gridare “non ho niente” o “lasciatemi in pace, cosa volete da me?” e non aver allertato nessuno. Rilevante ancora il fatto che Rosy abbia chiamato Pajdek la sera stessa della rapina, alle 23.23 – al cellulare di uso comune al trio – senza prima provare a chiamare il telefono del figlio. “Significativo – scrivono poi i giudici – è il fatto che Rosy, quando ha incontrato […] (la sua ‘datrice di lavoro’, ndr) il 10 settembre 2015, ha taciuto su quanto accaduto la sera precedente, per poi riferirglielo, in compagnai di […] (il suo amante, ndr), solo una volta rincasata in tarda serata. Di fatto, diede “l’allarme” solo dopo aver incontrato presso il Darsena City i tre giovani, da cui poteva apprendere che l’utilizzo delle carte di pagamento di Tartari era esaurito dopo gli acquisti della giornata”.

E, ancora, ci sono le dichiarazioni di Pajdek, sempre da prendere con le pinze, che la individua come basista: sarebbe stata lei a indicare la casa di Tartari come il luogo in cui poter rubare oro e in cui c’era anche una cassaforte (di cui però non si sono accorti). Lo stesso Pajdek con cui aveva rapporti: nella casa in cui prestava servizio nascondeva un televisore da 50 pollici rubato dai Pajdek e Fiti alla Salus e secondo un testimone sentito a processo, fu proprio lei in passato a organizzare un viaggio in Slovacchia per rivendere oggetti rubati e fu sempre lei a nascondere gli oggetti rubati da Pajdek insieme a Igor Vaclavic (il killer di Budrio e del Mezzano, che oggi conosciamo come Norbert Feher) nel garage di Marco Tartari (il fratello di Pierluigi) qualche mese prima: “[…] probabilmente – si legge nella sentenza – la donna aiutava la banda a ricettare i beni rubati“.

E se in udienza Rosy ha affermato di essersi data da fare per la fuga del figlio perché aveva paura che venisse condannato per precedenti rapine commesse con Pajdek – e non dunque per quella di Aguscello – ci pensano le intercettazioni a smentirla, così come provvedono a mettere in dubbio la sua estraneità. In una è preoccupata che sia Pajdek a coinvolgerla, dopo aver saputo di alcune voci messe in giro, in un’altra, parlando con la nuora, afferma: “Hanno già catturato quel delinquente (il riferimento è a Pajdek, ndr), che lo ha ucciso lui” e “è lui il capo assassino”.

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