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2 Aprile 2017
L’Adorazione dei Magi restaurata

Il Cosmo magico di Leonardo

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

L’Adorazione dei Magi di Leonardo degli Uffizi è tornata in Galleria dopo un restauro all’Opificio delle Pietre Dure, durato cinque anni.

Infatti nel novembre del 2011 la grande tavola dell’Adorazione dei Magi di Leonardo fu trasferita al laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, dove per molti mesi fu sottoposta a numerose indagini diagnostiche, prima che nell’ottobre 2012, venisse finalmente presa la decisione congiunta di intraprendere il restauro.

Nel 1481 Leonardo riceve l’incarico di dipingere un’Adorazione dei Magi, mai compiuta e perciò mai consegnata ai committenti, forse perché, appena un anno dopo, il pittore si trasferiva a Milano.
L’elaborazione leonardesca è sempre lenta. Ogni realizzazione è preceduta da lunghi e accurati studi, perché Leonardo, come non accetta acriticamente i dogmi prestabiliti, così non accetta né lo stile, né l’iconografia tradizionale: «dico ai pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell’altro». Da qui la fama d’incontentabilità e il rimprovero mossogli di aver lasciate incomplete tutte le sue opere. «Cominciò molte cose – dice Vasari – e nessuna mai finì».

L’Adorazione ha forma pressochè quadrata, permettendo a Leonardo di organizzare la pittura, in superficie e profondità, secondo le direttrici delle diagonali, il cui punto d’incontro cade nella testa della Madonna, che, arretrata rispetto ai Magi, inginocchiati e adoranti ad ala, costituisce il vertice di una piramide, alla quale dà movimento rotatorio orientandosi leggermente con le gambe verso sinistra e volgendosi, come il Bambino, verso destra. Questo movimento si propaga a tutte le figure, vicine e lontane. Non è solamente un movimento fisico; è piuttosto l’espressione più appariscente della varietà psicologica, dell’intensità dei sentimenti dei personaggi, ciascuno differenziato dall’altro, ma tutti ugualmente fervorosi.

Questo impeto, questo fervore, quest’ansia di capire è il tema fondamentale, non la narrazione del fatto; per questo mancano alcune componenti usuali nell’iconografia dell’Adorazione per esempio il bue e l’asinello e lo snodarsi del corteo (che appare appena evocato dalla presenza di molte figure e dei cavalli). Le volte crollano e le grandinate, come quelle di un antico teatro, vogliono forse significare simbolicamente il mondo pagano in declino con l’avvento del cristianesimo.

L’opera è incompiuta, come un grande abbozzo in monocromo. Ma, forse, a parte il viaggio a Milano, non poteva essere condotta oltre. Leonardo, seguendo la tradizione fiorentina, ha disegnato per poi colorire. Il disegno a Firenze è limite, è il confine dell’oggetto rappresentato, cui il chiaroscuro dà volume.

Leonardo non vuole la linea di confine, che isola, che divide, che impedisce il morbido inserirsi nello spazio, che toglie la continuità naturale fra le varie cose: «Perché il termine d’un colore è principio d’un altro colore, e non ha da essere però detto linea, perché nessuna cosa s’interpone infra il termine di un colore che sia anteposto ad un altro colore».

In questo quadro c’è dunque una contraddizione che è superabile soltanto non completandola; cosicchè la linea non definisce, ma indica, accenna; e il chiaroscuro, invece che mezzo per esaltare il volume dando vigoria ai corpi è ombra che attenua i risalti, che ammorbidisce i contrasti.

L’Adorazione è opera incompiuta, dunque, secondo le norme usuali; ma perfettamente compiuta, perché totalmente coerente, espressione adeguata del mondo di Leonardo e dell’interpretazione che egli dà dell’evento: l’atto d’amore, che partendosi dal gesto del Bambino, si propaga all’umanità in un ampio e lento movimento circolare.

Dopo il restauro e la pulitura nell’opera sono leggibili tutte le figure ed i dettagli ed è anche percepibile l’eccezionale costruzione spaziale interna alla figurazione, soprattutto nello sfondo che si apre su una visione prospettica ed atmosferica tipica di Leonardo, sinora addirittura mascherata da una vera e propria patinatura (cioè uno strato di vernice pigmentata che voleva conferire all’insieme l’aspetto di un monocromo). Appare anche evidente come, in modo inconsueto per il suo tempo e unico persino nella sua produzione artistica, Leonardo abbia elaborato il disegno direttamente sulla tavola anziché su carta, come è evidente dai numerosissimi cambiamenti in corso d’opera che oggi sono visibili. L’Adorazione dei Magi costituiva una novità sconvolgente per il mondo artistico fiorentino e, a ben guardare, racchiudeva in sé alcune idee pittoriche che l’artista avrebbe sviluppato nelle sue opere successive, dagli studi per la Battaglia di Anghiari, al San Gerolamo della Pinacoteca Vaticana, sino alla Vergine delle Rocce, nelle sue due versioni.

Suggestiva è la citazione che il direttore degli Uffizi Erik Schimdt fa della rappresentazione cinematografica dell’opera di Leonardo. “Nell’ultimo film di Andrej Tarkovskij, Sacrificio, del 1986, davanti a una riproduzione dell’Adorazione dei Re Magi di Leonardo, il postino Otto – collezionista di casi strani e non razionalmente spiegabili – esprime all’amico Alexander il turbamento che prova davanti al quadro. E conclude con un giudizio nettamente negativo: «Lo trovo terribilmente sinistro. Ho sempre provato un grande terrore di fronte a Leonardo>».
 Le inquietudini non sono mancate nemmeno agli addetti ai lavori, che a lungo si sono trattenuti dall’intervenire su un’opera non finita del genio tecnicamente più indomito e più versatile nella sperimentazione pittorica.

Nel lasso di tempo tra la campagna di indagini del 2002 e la decisione – quasi dieci anni dopo – di affidare il dipinto di Leonardo all’Opificio delle Pietre Dure, sta tutto un universo di evoluzione scientifica e tecnologica, e di conseguenza anche metodologica, che ha permesso agli esperti di affrontare il lavoro con una consapevolezza diversa e margini d’azione incredibilmente più ampi.
A lavori ultimati, possiamo ora capire – pur senza mai esaurirle – le sottigliezze nascoste e sfuggenti dell’opera, che hanno sfidato per anni chi aveva il compito di curarne la conservazione e comunicarne il messaggio.

I restauratori dell’Opificio, hanno restituito ora alle Gallerie degli Uffizi non solo un dipinto, ma una parte dell’anima stessa di Leonardo che su quella tavola sembra aver seguito con il pennello i suoi pensieri più intimi e vertiginosi, la sua personale visione della storia divina, tra umanità e mistero. Nel film di Tarkovskij, in quel mondo parimenti raffigurato tra distruzione e redenzione, il primo campo indugia sul particolare del dono della pisside preziosa offerta dall’anziano re magio al Bambino divino: un simbolismo, quello della rinascita e soprattutto del dono, che ben riassume anche le vicende del restauro del capolavoro leonardesco, un dono per l’umanità.

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