Attualità
26 Marzo 2017
Donato La Muscatella ha aperto al Cinema San Benedetto l’iniziativa “Coltivare la legalità”

Beni confiscati alla mafia “simbolo di riscatto”

di Redazione | 6 min

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“La terra può essere simbolo di prepotenza, ma anche simbolo di riscatto: da strumento di sopraffazione può diventare strumento di rivendicazione e realizzazione di diritti”. Così Donato La Muscatella ha aperto sabato mattina 25 marzo al Cinema San Benedetto l’iniziativa “Coltivare la legalità”, organizzata da Comune di Ferrara, il Coordinamento di Ferrara di Libera e la Confederazione Italiana Agricoltori di Ferrara, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, in occasione della XXII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Dal 21 marzo 1996, infatti, Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, il coordinamento di associazioni fondato da don Luigi Ciotti, celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie: il primo giorno di primavera, risveglio della vita, diventa anche simbolicamente giorno del risveglio delle coscienze. Il 21 marzo 2017 è stato “Luoghi di speranza e testimoni di bellezza”, per richiamare l’importanza di saldare la cura dell’ambiente e dei territori con l’impegno per la dignità e la libertà delle persone.

“Ognuno di noi può dare un contributo per rallentare e prima o poi fermare la penetrazione della criminalità organizzata”, ha affermato l’assessora comunale alla Sicurezza e alla Mediazione sociale Chiara Sapigni durante i saluti iniziali, l’importante è “capire cosa possiamo fare concretamente”.

“Non parliamo di problemi che riguardano luoghi altri, questi sono temi che riguardano anche casa nostra”, ha detto Pinuccia Niglio, viceprefetto, dirigente Area Ordine e sicurezza pubblica della Prefettura di Ferrara. Il suo intervento ha ripercorso la storia della legislazione sulla confisca dei beni provenienti dalle attività illecite: dalla legge Rognoni-La Torre, approvata dal Parlamento “dopo l’omicidio di Pio La Torre e del Prefetto Dalla Chiesa” nel 1982, alla legge 109 del 1996, “la prima di iniziativa popolare sottoposta e approvata dal Parlamento”, come ha sottolineato il viceprefetto, che prevede la destinazione per uso sociale dei beni confiscati. Prima di questo testo – scritto e proposto proprio da Libera tramite una campagna che ha raccolto un milione di firme – la legge del 1989 prevedeva che “i beni confiscati andassero all’asta, ma le aste andavano deserte perché le organizzazioni facevano opera di intimidazione, oppure mandavano dei prestanome” per acquistare i beni, ha spiegato Pinuccia Niglio. Per quanto riguarda i beni confiscati a Ferrara, ci sono “esempi positivi, ma purtroppo anche esempi negativi”: si tratta soprattutto di beni immobili, per lo più appartamenti in città e in provincia. “Quattro appartamenti in città” sono stati destinati: tre come “alloggi per il Comando Provinciale dei Carabinieri”, mentre il quarto è stato assegnato al Comune di Ferrara.

Esempi problematici sarebbero, invece, due appartamenti ai Lidi e un’abitazione nel territorio di Argenta: non sarebbe possibile assegnarli per le condizioni in cui si troverebbero. Il bene a Santa Maria Codifiume, frazione di Argenta, per esempio, “è stato danneggiato dagli occupanti prima di lasciarlo”, ha spiegato il viceprefetto, ed è dunque necessario investire fondi per una ristrutturazione. Infine “tre appartamenti confiscati a fine 2016 sono tutti fortemente ipotecati”: fattore non secondario per chi si potrebbe prendere l’impegno di una loro gestione.

Da un esempio concreto del rapporto fra agricoltura, legalità e consumo critico, è partito invece Stefano Calderoni, presidente Confederazione italiana agricoltori di Ferrara. Ai ragazzi presenti in sala – provenienti da alcuni istituti superiori ferraresi: l’Iis Veergani-Navarra, l’Iis Aleotti-Dossi, e i due licei cittadini Ariosto e Roiti – Calderoni ha mostrato due tubetti di concentrato di pomodoro: con i prodotti ‘sottocosto’ qualcuno lungo la filiera perde qualcosa in termini di sostenibilità non solo economica, ma anche e soprattutto di diritti. “L’agricoltura è il primo presidio del territorio: un’agricoltura sana e in grado di produrre reddito è un argine contro la criminalità organizzata, mentre in un territorio abbandonato l’illegalità si muove più facilmente”, ha affermato Calderoni.

“Il made in Italy è una grandissima risorsa che in tanti cercano di copiare”, per questo è “a rischio contraffazione”; ma è anche una grande responsabilità: produrre con “un’agricoltura che difende il territorio, la biodiversità e si oppone alle mafie”. Ecco perché il consumo critico è “un atto fortemente politico”: “scegliete questo tipo di agricoltura”, è l’appello del presidente di Cia.

Un’agricoltura responsabile e custode del territorio narrata nel documentario “Bioresistenze”. Un viaggio di 30.000 chilometri lungo tutto lo stivale per raccontare attraverso più di quaranta imprese, agricolture diverse, ma con un minimo comun denominatore: l’impegno, la perseveranza, il coraggio di interrogarsi sulle scelte per migliorare. “Bioresistenze” concentra il proprio interesse sul lavoro agricolo frutto di una scelta e di un’assunzione di responsabilità: “seminare il futuro”, come afferma uno dei protagonisti. Fra questi anche l’esperienza di Cascina Caccia, a San Sebastiano da Po in provincia di Torino: apparteneva alla famiglia ‘ndranghetista dei Belfiore che controllava in tutta l’area metropolitana del traffico di stupefacenti, usura, sequestri di persona, gioco d’azzardo e scommesse. Domenico Belfiore è stato condannato all’ergastolo nel 1993 come mandante dell’omicidio del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 a Torino: proprio dalla Cascina partì l’ordine di ucciderlo, per questo è intitolata a lui e a sua moglie Carla. Confiscata nel 1996, sono dovuti passare 11 anni prima di poterne entrare in possesso e quella che si è trovata è stata “una situazione non di degrado, ma di vera e propria distruzione: non c’erano più le scale e i pavimenti”. A parlare è il venticinquenne Simone, che a Cascina Cascia vive e lavora da due anni: “vivere in un bene confiscato è difficile e faticoso, ma non lo vivo come un gesto eroico”, ha sottolineato: “l’esperienza di Cascina Caccia è importante perché centinaia di persone hanno fatto qualcosa, hanno pulito, hanno imbiancato” per renderla possibile.

 “I beni confiscati sono una materia delicata perché volenti o nolenti diventano un simbolo e possono essere simboli positivi o negativi. Se sono brutti e degradati, o peggio ancora se sono un costo, diventano un simbolo della vittoria delle mafie; se sono luoghi belli e vissuti, se producono reddito diventano un simbolo positivo di vittoria dell’antimafia”. La sfida quindi per Simone è “avere la capacità di generare reddito nei beni confiscati perché significa che si può fare, che un’Italia senza mafie è possibile”.

La mattinata si è conclusa con la premiazione del concorso video “F(ilm)a la cosa giusta”- categoria scuole, indetto dal Comune di Ferrara in collaborazione con Avviso Pubblico, Coordinamento di Ferrara di Libera e il Presidio studentesco di Libera di Ferrara “Giuseppe Francese” e con il contributo della Regione Emilia Romagna. Obiettivo: promuovere l’educazione alla legalità e l’adesione responsabile dei giovani ai valori della vita democratica attraverso lo strumento comunicativo del video. Hanno partecipato 11 lavori, dei quali uno da un istituto superiore di Casalecchio di Reno in provincia di Bologna. Il primo premio e la menzione d’onore sono andati a due gruppi di studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore L.Einaudi di Ferrara per i video “Silenzio manipolatore” e “Mafia. Il silenzio non perdona”.

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