Recensioni
19 Marzo 2017
Capolavori del disegno francese dalla collezione Prat a Venezia

Da Poussin a Cézanne

di Redazione | 6 min

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di Maria Paola Forlani

“Apprezzare la bellezza dei disegni è una delle massime forme di eleganza dell’anima che non soltanto la nutre di fugaci attimi di piacere, ma avviluppa il pensiero in amenità che nel pensiero stesso risuonano e in cui esso trova tutto il suo appagamento”

Henri Focillon (1935)

“La lezione più difficile di tutte in Europa, è sapere di non sapere: ma ce n’è un’altra che lo è ancora di più; dubitare di tutto”

Ange Goudar (1764)

Si è aperta nella sede di Museo Correr a Venezia fino al 4 giugno, a cura di Pierre Rosemberg, un’eccezionale mostra composta di 110 raffinatissimi disegni provenienti da una delle più importanti raccolte private francesi, la collezione di Louis-Antoine e Véronique Prat, che riunisce tutti i grandi maestri dal XVII al XIX secolo del titolo Da Pussin a Cèzanne. Capolavori del disegno francese dalla collezione Prat.

Il disegno si conferma così, dal punto di vista degli studi della storia dell’arte, una delle espressioni più alte che un artista possa lasciare a testimonianza della sua opera. Netto, incisivo, ricco di dettagli, o, viceversa, rapido, di getto, senza controllo e pentimenti, esso costituisce il “diario” più intimo dell’artista che grazie alla libertà che questa tecnica consente, proprio nella sua immediatezza affida gli umori più autentici del suo estro creativo.

L’esposizione si articola in otto sezioni tematiche per accompagnare lo spettatore nell’evoluzione dell’arte del disegno francese lungo tre secoli.

I francesi in Italia. Per tutto il XVII secolo, l’Italia e in particolare Roma, hanno attirato gli artisti francesi  che seguendo l’esempio di François Stella alla fine degli anni Ottanta del Cinquecento, non esitavano a compiere il lungo viaggio al di là delle Alpi. L’esempio più celebre resta quello di Nicolas Poussin, il quale, se si esclude una breve fase parigina (1640-1642), molto produttiva ma che lo lasciò profondamente insoddisfatto, svolse quasi tutta la sua carriera di pittore a Roma. Lo stesso vale per il suo amico Claude Gellée detto il Lorenese, per il quale la campagna romana fu la fonte di ispirazione di una vita. Per quanto più sporadiche, le relazioni con l’Italia di artisti come Callot, che soggiornò per un periodo a Firenze alla corte dei Medici, o Franç Perrier, che per ben due volte trascorsero diversi anni a Roma, hanno segnato per sempre l’arte di questi disegnatori.

Centro e periferie nel Secolo d’oro. Generalmente gli artisti francesi influenzati dal “caravaggismo” non disegnarono, ad eccezione di Simon Vouet, il cui stile mutò dopo il definitivo ritorno in Francia nel 1627, data a partire dalla quale egli intraprese una grande carriera come decoratore e pittore di storia. Una forma epurata di quest’ultimo si trova in Eustache Le Sueur, artista di grande delicatezza marcato dalla lezione di Raffaello, così come in Laurent de La Hyre, il cui stile particolarmente raffinato e sereno ha potuto ricevere la qualifica di “attico”, in riferimento alla purezza dell’arte greca antica. Nella provincia francese si svilupparono diversi centri artistici, caratterizzati da una maggiore libertà e spesso da un’originalità sorprendente, come testimoniano le invenzioni di un Brébiette, originario di Orleans, o del pittore di storia lionese Thomas Blanchet. Ad Avignone, Nicolas Mignard sviluppò invece una maniera più castigata, mentre alla fine del secolo si assistette all’emergere dell’affascinante e audace stile dei tolosani Antoine Rival e Raymond La Fage.

Classicismo. Il trionfo dello spirito classico si impone durante il regno centralizzato di Luigi XIV, la cui produzione artistica tende prima di tutto a celebrare la gloria del sovrano. La creazione dell’‘Académie Royal de peinture et de sculpture’ nel 1648 permette di indirizzare a poco a poco la creazione artistica in questo senso. Charles Le Brun, primo pittore del re, sarà fino al 1690 il perfetto rappresentante di questa corrente, lavorando in particolare nella reggia di Versailles, ove concepì gran parte dei decori. Il suo rivale Pierre Mignard, e i suoi successori Antoine Coyprl e Charles de La Fosse, proseguiranno la sua opera di decoratore, ma sempre più verso il trionfo del colore sulla linea pura, che condurrà sotto la Reggenza all’esuberanza rocaille.

Watteau e la rocaille. Dopo che i rubensiani ebbero la meglio sui poussinisti e la nozione di “colore” su quella di “disegno”, si tornò a un’arte meno maestosa, più distesa e anche più poetica. Nonostante la sua breve vita, Antoine Watteau resta il rappresentante ideale di questa tendenza, con le sue raffigurazioni di feste galanti e le sue incessanti evocazioni dei progressi dell’amore. Dopo di lui, François Boucher continuerà in questa direzione, arricchendola di tutta un’iconografia mitologica con la quale celebrerà, fra gli altri, gli amori degli dei.

Dopo il 1740. Sotto il regno di Luigi XV (morto nel 1774) si assiste al sorgere dell’arte neoclassica, influenzata da numerosi fattori: gli scritti di Winckelmann e del conte di Caylus, la riscoperta dell’antico con gli scavi di Pompei e Ercolano, ma anche dalla nuova borghesia imprenditoriale, che non si riconosceva più in uno stile profondamente aristocratico come il rococò. Il realismo e i soggetti di genere si impongono poco a poco, parallelamente all’affermazione di un certo gusto per la pittura nordica del secolo precedente. Se Challe o Despez riflettono ancora l’influenza, diffusa ovunque di un Piranesi, artisti come Greuze e Hoin esprimono un nuovo interesse per l’analisi psicologica e il realismo del ritratto, che si trova anche in Quentin De La Tour e Chardin.

Neoclassicismo. Intorno a Jacques-Louis David si cristallizza un nuovo ‘vangelo’, quello dell’exemplum virtutis (esempio di coraggio fisico e morale) ereditato dagli antichi: grandi lettori di Plutarco e Tacito, i giovani innovatori dello stile, amanti della linea fredda e del racconto eroico, coltivano un repertorio nuovo, approcciandolo essenzialmente attraverso i loro disegni. La gloria di Napoleone sarà ovviamente narrata da David e dagli allievi di quest’ultimo, tra cui Girodet o Gros.

Romantici, paesaggisti, disegnatori letterari. Ѐ proprio con Gros che si manifesta la tensione fra la doxa neoclassica e l’impulso romantico, contraddizioni così violente che condussero l’artista al suicidio. Per il suo contemporaneo Géricoult il problema è ben diverso: gli eroi che egli raffigura sono popolari, spesso colpevoli, più spesso ancora, già condannati; la loro statura michelangiolesca si scontra con la forza del fatum che li accompagna. Più impulsivo, sebbene si sia sempre considerato “un puro classico”, Delacroix, il grande rivale che la storia dell’arte non ha mai smesso di opporgli, incarna il movimento e lo slancio romantico con l’affermazione di una immagine in perenne rinnovamento, immaginazione che Baudelaire celebrava come “la regina delle facoltà”. Se Delacroix, ancora una volta secondo le parole di Baudelaire, si considerava “un pittore letterario”, è anche l’importanza dei rapporti fra lo scritto e il disegno che illustrano le opere di artisti come Daumier o Bresdin, così come quelle di scrittori-disegnatori prolifici (Victor Hugo) o rarissimi (Baudelaire) partecipano della stessa energia; un Corot, e un Millet e un Rousseau, brillano come paesaggisti.

Modernità. La modernità grafica che prepara le conquiste plastiche del XX secolo non deve essere cercata nell’impressionismo puro, i cui maggiori esponenti (Monet, Sisley, Pissaro) non furono disegnatori geniali. Essa è piuttosto il frutto del lavoro di un Manet o di un Degas, che, all’inizio della loro carriera di artisti, fecero tuttavia riferimento nei loro disegni ai grandi maestri italiani del Rinascimento e alle loro figure ideali. Essa risiede anche in una continua affermazione del ruolo dell’immaginazione, che tende ormai all’onirico e allo spettacolare, come in Redon o in Rodin. Con Toulouse-Lautrec, come con Seurat e Cézanne, l’atto grafico si afferma come conquistatore: di un’estrema acidità nel primo, di una straordinaria maestria tecnica nel secondo, sorta d’ “invenzione del nero”, e infine di un’audacia prodigiosa in Cézanne, che cerca di avvicinare la resa della sua “piccola sensazione”, a lungo meditata, alla sua alta concezione dell’“arte dei musei” attraverso una ricerca di armonia formale, di una potenza incomparabile.

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