Economia e Lavoro
16 Marzo 2017
A colloquio con Francesco Tarantino, manager della società che recupera il Pvc: "Il plastificante è pericoloso ma non ci sono rischi nella nostra produzione"

Crisi Vinyloop. “Così stanno uccidendo le società del riciclo”

di Daniele Oppo | 7 min

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Tutto ruota attorno a un plastificante pericoloso e a rischio se usato in alcuni contesti e a una legislazione europea che non sembra sapere esattamente cosa vuole ottenere, il cui doppio binario valutativo tra la produzione interna e quella importata sta penalizzando le imprese virtuose del riciclo.

Ed è qui, in questo buco, che è caduta Vinyloop, la società altamente innovativa che si occupa del riciclo del Pvc, nata dalla ricerca Solvay, sviluppata dalla joint-venture tra Inovyn-a Ineos Company (60%) e Serge Ferrari (40%) e oggi controllata al 100% da Ineos. La sua attualissima crisi – che ha come effetto visibile la cassa integrazione da 13 settimane per 12 13 persone – nasce proprio dall’incertezza del regolatore europeo per l’utilizzo di un plastificante, il Dehp. L’Ue vuole infatti che in Europa non venga più prodotto Pvc contenente il Dehp, considerato pericoloso, però consente ancora la sua importazione dai Paesi extra-europei, come la Cina, dove il limite non esiste.

«Nel 2011 in Europa venivano prodotte 100mila tonnellate di Pvc contenente Dehp, altrettante ne venivano importate», ci spiega Francesco Tarantino, manager di Vinyloop che ci ha voluti incontrare nella sede dell’impianto in via Marconi dopo il nostro articolo, per raccontarci come si sia arrivati a questo punto e quali siano le prospettive per il futuro dell’impianto, «dal 2020 la produzione interna sarà vicina allo zero, ma c’è uno studio Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche, ndr) che mostra come il Pvc importato contenente Dehp sarà cresciuto del 30-35% nel 2039». Questo ovviamente taglia le gambe alla Vinyloop, il cui prodotto finale contiene normalmente il plastificante, e in generale al riciclo, chiudendo ampie fette di un mercato che dovrebbe essere virtuoso, fiore all’occhiello per Ferrara e per l’Europa. «Qui dentro – spiega ancora Tarantino – non aggiungiamo niente, nessun plastificante, tantomeno il Dehp. È già presente nel rifiuto che prendiamo dai nostri fornitori (principalmente guaine dei cavi elettrici e teloni, ndr), ma per il regolamento Reach noi diventiamo produttori che lo usano e per questo abbiamo bisogno dell’autorizzazione dell’Unione europea, in modo che ci sia una tracciabilità».

Ma spezzando la catena, seppur piccola, del riciclo, «il Pvc con Dehp – osserva il manager – o finirà in discarica o andrà incenerito, oppure verrà mandato nel mercato estero extra-Ue, dove faranno dei granuli e da lì degli oggetti che poi rientreranno in Europa”. Con tanti dubbi anche dal punto di vista ambientale: «Con la nostra idea tutte le autorità possono vedere la tracciabilità dal rifiuto all’applicazione finale. Il pericolo ora è che si possa sviluppare anche un mercato nero».

Il senso delle regole europee – almeno dello spirito, forse meno nella pratica – è quello di togliere dal mercato prodotti contenenti sostanze considerate pericolose. E su questo il manager di Vinyloop ci tiene a fare un’importante precisazione, che spiega meglio perché l’Ue abbia dato l’assenso alla nuova autorizzazione: «C’è una differenza importante tra pericolosità e rischio. Faccio un esempio: se mia figlia mi chiedesse di andare al parco perché c’è un leone, le direi di no perché c’è un pericolo e un rischio concreto. Ma se mi dicesse di andare allo zoo per vedere un leone, non avrei problemi, perché pur essendoci il pericolo, il leone, non c’è il rischio. Noi non abbiamo mai messo in dubbio che il Dehp sia pericoloso, perché è un interferente endocrino, ma abbiamo dimostrato che non c’è rischio per i cittadini per via del mercato in cui vendiamo il nostro prodotto e per le applicazioni che ne vengono fatte. Per ottenere la nuova autorizzazione ci è stato chiesto di fare un monitoraggio nei nostri laboratori e dai nostri clienti – prosegue Tarantino -. Il problema è che non esiste neppure una soglia da massima di contaminazione da prendere in considerazione e alla fine abbiamo trovato un solo laboratorio, in Germania, che ha fatto questo test usando come soglia il ‘rumore’ nella popolazione tedesca che non ha contatto con l’industria”. In sostanza, il laboratorio ha preso come soglia la concentrazione media di Dehp presente nella popolazione ‘normale’, quella che non lavora a contatto diretto con Pvc contenente il plastificante. «Abbiamo fatto le analisi ai nostri operatori e a quelli dei nostri clienti ed è risultata una percentuale di Mehp (il metabolita che si sviluppa nel nostro corpo quanto entra in contatto con il plastificante) molto, molto bassa – spiega Tarantino -. Abbiamo utilizzato questo riferimento per essere sicuri che non ci fosse contaminazione neppure per i nostri operatori, che più di tutti entrano in contatto con il Pvc».

Ma, nonostante questo, nel 2019, quando scadrà l’autorizzazione per produrre R-Pvc con Dehp, Vinyloop non presenterà domanda per ottenere un rinnovo (peraltro da inoltrare entro metà del 2017 elaborando un nuovo dossier «che potrebbe costare più di un milione di euro in funzione della quantità di applicazione che vogliamo studiare»), chiudendo di fatto ogni possibile polemica futura. Il motivo è che non ne vale più la pena, il perché è un misto di politica e questioni economiche, non senza rimpianti.

«La battaglia su un tema sensibile come questo dipende da come viene trattato», afferma Tarantino, che sul Dehp vede un grande problema politico: «Se non si vuole più il Dehp, allora è logico che venga stoppata anche l’importazione del Pvc che lo contiene, ma questo non succede. Stanno uccidendo le società del riciclo ma continuano a far entrare il Dehp nel mercato».

«Non richiedere l’autorizzazione dopo il 2019 va contro quello che pensavo – ammette il manager -, ma la tracciabilità di tutta la catena non è stata accettata e adesso andremo verso altri business model. Otterremo prodotti con sostanze autorizzate, ma avremo sempre un grande rischio di contaminazione con Dehp e ci servirà un mercato per quei prodotti, che potrà essere solo l’export».

Produrre R-Pvc scartando il plastificante pericoloso è invece una soluzione fattibile in astratto, molto meno in concreto: «In laboratorio si può separare il Dehp dal Pvc, ma non esiste ancora un sistema industriale per farlo. Svilupparlo richiederebbe grandi investimenti e il Pvc riciclato in questo modo costerebbe almeno il doppio di quello che produciamo oggi. Ma anche se si trovasse un modo, non ci sarebbe alcuna garanzia per il futuro, dato che costerebbe tanto in innovazione e la legislazione cambia sempre». Dato che si parla di cose futuribili, il manager di Vinyloop risponde in parte anche alla richiesta della Filctem-Cgil di ritornare alla ricerca per superare la crisi: «Il 23 marzo avranno la risposta in un incontro con il Cda, posso dire che la ricerca si può fare ma è necessario trovare un buon ritorno per l’investimento».

Dal lato economico, la situazione attuale porta solo svantaggi a Vinyloop: «I clienti aspettano che si calmi questa rivoluzione sulle sostanze considerate preoccupanti, preferiscono il Pvc vergine per avere meno problemi. Nel frattempo le società come la nostra, che lavorano con trasparenza, si trovano in grossa difficoltà. Tra 2015 e 2016 abbiamo perso ancora il 12% e quest’anno la previsione è di utilizzare l’impianto solo per sei, sette mesi». Inoltre, «con un’autorizzazione così breve (quattro anni dal 2015, ma di fatto dal 2016 al 2019, ndr), il business model che avevamo pianificato è finito. Ci serve tempo per rivedere le cose. Non c’è dietro l’intenzione di nascondere qualcosa, è che siamo davanti a un problema di legislazione che ci impedisce di andare avanti». A questo si aggiunge il fatto che manca un sistema che premi l’utilizzo di prodotti riciclati, a fronte di una differenza di costo tra Pvc vergine e riciclato che si aggira sul 20-30%. «Mancano gli incentivi – afferma Tarantino – e partiamo svantaggiati anche all’ingresso, perché la discarica costa poco e non c’è un eco-tassa che spinga verso il riciclo. Non è un problema dei singoli Stati, riguarda l’Europa: serve una politica globale a livello europeo che oggi non esiste, solo così può iniziare l’economia circolare». In più, c’è la questione dei costi produttivi, soprattutto quelli energetici, problema annoso per il Petrolchimico estense: «L’impianto consuma e a Ferrara l’energia costa troppo».

Eppure Vinyloop avrebbe grandi potenzialità: «Produciamo 6mila tonnellate di R-Pvc, non facciamo di certo concorrenza a quello vergine, ma i soci Inovyn e Serge Ferrari stanno investendo anche non solo per una questione di marketing e di immagine, ma anche perché l’aspetto ambientale conta come è accaduto per la realizzazione di alcune coperture degli impianti sportivi per le Olimpiadi di Londra 2012. L’impianto di Ferrara – afferma Tarantino – è talmente interessante che è stato riconosciuto come l’unico che dà un valore aggiunto al prodotto finale». Tanto che si sta pensando di esportarlo: «C’è uno studio in preparazione – rivela infine Tarantino -, nei Paesi scandinavi, che usa Vinyloop come modello. Costruire oggi un nuovo impianto altamente tecnologico in Italia è impensabile».

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