A distanza di quasi una settimana dal tavolo provinciale istituzionale e nonostante la volontà manifestata davanti al presidente della Provincia Tiziano Tagliani, fra l’amministratore delegato dell’attuale Manifattura Bonzagni e il curatore fallimentare, nel ricercare una soluzione, “ad oggi non c’è stato nessun concreto rapporto per ricercare l’intesa e salvare ben trenta posti di lavoro”.
Lo riferiscono i lavoratori delle Manifatture Bonzagni e la Femca Cisl di Ferrara, in merito al tentativo di una transazione tra la fallita Manifatture Bonzagni MB e la nuova azienda Manifatture Bonzagni Srl. Quest’ultima deve rendere alla Curatela della società fallita un credito che ha portato alla messa all’asta dei macchinari. E questi, se venduti, porteranno inevitabilmente alla chiusura dell’azienda. Il tavolo provinciale è stato convocato lo scorso giovedì 9 marzo al fine di poter trov are una mediazione soddisfacente per entrambe le parti, ma soprattutto utile a evitare la chiusura della azienda di Dosso produttrice di imballaggi e salvare così i trenta lavoratori attualmente in organico.
“Sembra chiaro, a questo punto – dichiara Vittorio Battaglia della Femca Cisl provinciale – che dietro a questa situazione incresciosa, ci siano “interessi esterni” che stanno fortemente ostacolando questa possibile e necessaria trattativa”.
“Come sindacato e lavoratori – si legge nella nota – ribadiamo che non vogliamo sposare nessuna delle due posizioni in contrapposizione fra di loro, ma ribadiamo che la nuova Manifatture Bonzagni debba assolutamente assumere una costruttività di offerta per andare incontro a quanto richiesto dalla Curatela, e che quest’ultima assuma come priorità, oltre a quanto giustamente previsto dalla legge nel tutelare i creditori, il giusto equilibrio nel consentire anche la continuità dell’attività produttiva di una azienda che in oltre due anni ha visto una conferma economica e di sostenibilità per l’occupazione. Non vogliamo che, alla fine, per rigidità preconcette, i “contendenti” rimangano entrambi con il “cerino in mano” e che quelli che ci rimetteranno sostanzialmente siano in primis i lavoratori. Sbalorditivo che inoltre non si stia “parlando” di milioni, bensì di poche centinaia di migliaia di euro di differenza fra “domanda e offerta”. Ecco perché viene forte il sospetto che l’attuale situazione sia ancora figlia delle motivazioni che hanno portato al fallimento della vecchia società, come se ci trovassimo di fronte ad una “resa dei conti” che si trascina da almeno tre anni”.
“Quando un’azienda è “decotta” – spiegano dipendenti e Femca – come sindacato e lavoratori, pur manifestando contrarietà, alla fine “alziamo le mani”. Ma così non può essere quando “si vuole” far chiudere un’azienda per ben “altre ragioni”. Manifesteremo sino all’ultimo, non è possibile che in una società civile si possa consentire che per “interessi” che non guardano al mondo del lavoro, ma solo a faide e convenienze di parte, si permetta la chiusura di un’azienda “sana” che anche grazie all’impegno di tutti i suoi lavoratori in questi due anni è ancora viva e presente sul mercato”.
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