Eventi e cultura
20 Febbraio 2017
Il racconto di quella notte del '45 della partigiana Bellodi agli studenti dell'Einaudi

La “donna coraggiosa” e l’assalto al municipio di Bondeno

di Redazione | 4 min

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di Cecilia Gallotta

È stato un filo diretto fra presente e passato l’incontro fra gli studenti dell’Istituto “L. Einaudi” e la partigiana Lidia Bellodi, che prese parte allo storico assalto al Municipio di Bondeno nell’ormai lontano febbraio 1945.

L’incontro, organizzato dal docente Oscar Ghesini per quattro classi quinte e una terza, “è a volte il modo più efficace per spalancare gli occhi e vedere che la nostra libertà è come l’aria: quando c’è non ce ne accorgiamo, ma quando manca ne sentiamo l’impellente necessità”.

Un racconto prezioso quello di Lidia, classe 1925, che nonostante alcuni “segni del tempo” ha potuto scolpire le sue memorie anche attraverso la penna di Bracciano Lodi, presente all’incontro e autore dell’omonimo libro “Lidia Bellodi: memorie di una donna coraggiosa”.

Una donna che, prima di scoprire il coraggio, ha visto fame e povertà. “Eravamo in 5 fratelli – racconta Lidia della sua infanzia a Ospitale, frazione di Bondeno – e alla fine della guerra saremmo diventati 6. A lavorare in campagna a quei tempi era dura, perché se l’anno non era buono si faceva la fame. A 13 anni sono andata a lavorare in risaia, e se c’era una fatica grande, quella era la risaia! Ma non ho avuto paura di andarmene di casa per aiutare la mia famiglia. Poi venne una donna che chiese a mio padre se aveva una figlia che poteva badare ai suoi 6 bambini a tempo pieno. E andai io. Avevo 16 anni e in quella casa facevo di tutto. Badare a 6 bambini, accompagnarli a scuola, preparare da mangiare, lavare, per così tante persone. Però ero fortunata perché c’era da mangiare: i primi giorni mi mettevo a piangere pensando ai miei fratellini che non ne avevano. Una notte però, ero da sola con i bambini e sentii degli spari”.

Era il 15 novembre. Ci fu l’eccidio del castello estense: 11 partigiani ferraresi furono fucilati. E l’indomani mattina Lidia scoprì che quella notte sarebbe passata alla storia come “la lunga notte del 43”.

“Dalla paura tornai a casa, anche se a malincuore perché sapevo che la mia famiglia aveva bisogno del mio aiuto”. Ma tornando a casa Lidia ebbe modo di conoscere la partigiana Silvana Lodi, con cui prese parte alla distribuzione di volantini per la Resistenza, ruolo principalmente femminile. “Dovete pensare che la Resistenza nei territori di pianura come i nostri faceva un’immensa fatica a posizionarsi e a nascondersi”, come fa notare Bracciano Lodi, considerando che dopo l’8 settembre ’43 oltre ai fascisti c’erano anche i tedeschi.

“E così la rete della resistenza nei nostri territori l’hanno fatta le donne – aggiunge il membro dell’Udi Ormea Lupi – non meno degli uomini”. Ma è stato il febbraio del ’45 il mese più difficile per Lidia, che oltre all’assalto al Municipio, ha assistito anche all’arresto del suo futuro marito. “Incontravamo dei nostri compagni di scuola che dicevano di doversene andare in guerra, eppure non avevano né divisa né scarpe. Li mandavano così, allo sbaraglio, appena compivano 18 anni. Fu per questo che Silvana mi propose di prendere parte all’assalto che distrusse l’archivio anagrafico del Municipio. All’inizio sembravamo sole, poi saremmo diventate più di 200. Abbiamo appeso gli striscioni e sfondato le porte del Municipio, siamo salite fino al terzo piano e abbiamo iniziato a buttar giù dalla finestra i libri e i fogli che Silvana mi indicava. Dalla finestra vidi un fascista in bicicletta, ed ero sicura che sarebbe andato ad avvisare gli altri e che ci avrebbero uccise. Ma dovevamo prima bruciare i fogli che avevamo buttato giù: un ragazzo mi lanciò una scatola di fiammiferi, e l’istante dopo arrivò un fascista armato”.

Furono ferite due donne e arrestate 7, e dopo quell’avvenimento “nessuno osò parlare più dell’accaduto, e fu solo a guerra finita che scoprii che anche il mio fidanzato aveva preso parte alla lotta. Lui era tornato dalla guerra l’8 settembre, ma nel luglio del ’44 avrebbe dovuto tornarci. Così è scappato facendo il clandestino finché non l’hanno arrestato”. Ma fortunatamente, proprio quando era già pronto per essere deportato in Germania assieme ad altri ragazzi, la guerra volse al termine, permettendo a Lidia di vivere la loro lunga e intensa vita fino a raccontarla ai giorni nostri.

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