Politica
20 Febbraio 2017
L'appello del ministro ferrarese ai leader della minoranza: "Restate". Marattin duro contro Emiliano, Speranza e Rossi

Franceschini all’assemblea Pd: “Con scissione vince Grillo”

di Redazione | 5 min

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“Attorno a noi c’è di tutto, la crisi, le difficoltà delle famiglie, il terrorismo, il terremoto, le pensino sociali, il confronto con l’Ue. Non è il momento di dividersi, bisogna provare a ricostruire il rapporto con il Paese”. Con queste parole il ministro della Cultura, il ferrarese Dario Franceschini, è intervenuto nel teso dibattito all’assemblea del Pd.

Qualche ora prima è toccato a Matteo Renzi, che ha rassegnato le dimissioni dando ufficialmente il via libera al Congresso per l’elezione del suo successore, che potrebbe essere anche lui dato che è chiara l’intenzione di ripresentarsi come candidato.

Franceschini è uno dei dirigenti che in questi giorni – dopo la forte rottura della minoranza capeggiata ultimamente da Michele Emiliano (che però in assemblea sembra aver già fatto marcia indietro), Enrico Rossi e Roberto Speranza – ha tentato di evitare la scissione.

“Si è incrinata qualcosa – ha detto il ministro, intervenuto dopo Walter Veltroni e Roberto Giachetti -, bisogna capire quali sono le ragioni di delusioni e rabbia. È facile dire che populismo è la nuova destra, non è così, è trasversale. L’ondata è entrata direttamente nel nostro elettorato. È un nuovo nemico, un nuovo avversario, bisogna preparasi. Il populismo ci impone di percorrere strade più difficili ma diverse”, altrimenti “aumentiamo le possibilità che vinca Grillo o la destra”.

E la ragioni di Franceschini sono anche di tipo concreto: “È difficile in un momento così corto fare una scissione e andare insieme alle elezioni. Qualsiasi modello elettorale ci interrogherà su come facciamo ad andare insieme, non dopo ma prima delle elezioni. Anche con Mattarellum, se fossimo in condizione di approvarlo, non ci dovremmo interrogare su come fare a sostenere lo stesso candidato il giorno dopo la scissione? Non è il momento della divisione tra di noi – ha ribadito Franceschini -: dovremmo essere qui a rivendicare i risultati di questa legislatura, soprattutto dopo che è nata senza un vincitore, eppure siamo riusciti faticosamente, lavorando, a rimetterla insieme. Si è rotta la destra, il governo è andato avanti perché Fi si è rotta. Il governo Renzi ha fatto riforme strutturali che per molto tempo ricorderemo e per qualità e quantità  e temo che non vedremo più per molte stagioni davanti”.

Il ministro ha poi obiettato che non è possibile chiedere che il governo Gentiloni rimanga in sella e al tempo stesso preparare una scissione del maggior partito che lo sostiene: “Come si fa a segare la gamba che regge quel governo? La divisione è priva di senso perché entrerebbe in una legislatura in cui le alleanze saranno faticose, larghe e improbabili e la nostra unità sarà fondamentale per tenere il timone e non per diventare l’equipaggio di una nave guidata da altri poteri”.

“Milioni di persone – ha proseguito – hanno creduto nel Pd e sceglierebbero di stare insieme senza dubbio ed esitazione. Quel popolo in 10 anni, mentre noi abbiamo continuato a litigare, si è mischiato e unito molto più in fretta di noi: ha capito che le differenze sono ricchezza non divisione”. Franceschini ha poi fatto riferimento all’inno “Bandiera Rossa” cantato in apertura dell’incontro tra i tre probabili candidati a sfidare Renzi – ma si andrà a Congresso non essendo pervenuta nessuna candidatura alla direzione nel tempo utile -: i presidenti delle Regioni Toscana Puglia, Enrico Rossi e Michele Emiliano e Roberto Speranza, che gode del supporto di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. “È chiaro che Bandiera Rossa non può essere l’inno di questo partito ma a me non ha dato nessun fastidio perché è un pezzo di storia che è confluito in questo partito”.

“Non è possibile mandare tutto in fumo per uno scontro su date del congresso, ma chi ci crede, p sui nomi – ha concluso Franceschini -. Non vedo perché mi dovrei trovare in un partito diverso da Bersani, Rossi Emiliano, Errani: restate – è il suo appello -. Senza distruggere la casa che abbiamo appena finito di costruire. La discussione però non può fermare la scelta. Ci si scontra ma alla fine bisogna decidere. Alla minoranza dico: non consumate tutto oggi. Ognuno di noi potrebbe essere l’affluente che porta acqua al fiume comune. Se ve ne andate da quelle sedie non conta quanti sarete, porterete via un pezzo di storia comune troppo importante, che è appena cominciata e cha abbiamo il dovere di continuare a proseguire insieme”.

Luigi Marattin, renziano della prima ora e attuale consigliere economico del governo, nella giornata di sabato aveva contestato la posizione “panna e miele” di Franceschini, che aveva già detto a tutte le componenti del partito “fermatevi”. L’ultima posizione ambigua di Michele Emiliano – che prima ha chiesto la testa di Renzi, poi ha detto di no e, infine, ad assemblea conclusa, ha attaccato nuovamente insieme a Speranza e Rossi – scatena però una presa di posizione decisamente più dura: “Ieri – scrive Marattin su Facebook – Emiliano si scusa con i partecipanti all’incontro di Testaccio per aver in passato sostenuto Renzi, amico dei banchieri e dei petrolieri. Oggi interviene in Assemblea e si dice pronto al passo indietro, dichiarando fiducia in Renzi. Pochi minuti dopo Speranza e Rossi dichiarano che la posizione di Emiliano è anche la loro. Poi passa un’altra mezz’ora e tutti e tre dichiararono la scissione. Dite quello che volete, ma onestamente non credo che questo incredibile spettacolo che si sta offrendo al partito (e al Paese) appartenga alla dimensione della politica. Appartiene più a dimensioni diverse, che forse è meglio non citare per non urtare qualche animo più suscettibile”.

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