Dosso. Riprenderà a settembre con una lunga udienza dedicata all’escussione dei primi testimoni il processo per truffa e riciclaggio dei fondi post sisma, nato da un’indagine della tenenza di Cento della guardia di finanza.
Alla sbarra ci sono sei imputati – un settimo Andrea Magri, accusato di truffa, ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto in sede di udienza preliminare – accusati a vario titolo dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e riciclaggio: gli accusati per la truffa sono Gianluca Alberghini, titolare dell’azienda Far di Dosso (difeso dall’avvocato Beatrice Capri del foro di Bologna), Cristiano Garutti e Stefano Anselmi (amministratori della società esecutrice di alcuni lavori, la Fenice Srl, difesi dagli avvocati Gianluca Filippone e Albero Bova); gli accusati di riciclaggio sono Fabiana Borsari (Future Home Immobiliare, avvocato Filippone), Mara Vaccari e Filiberto Trevisani (rispettivamente della Immobiltre e Omnia srl, difesi dall’avvocato Enrico Zambardi).
Nella giornata di mercoledì mattina, davanti al collegio (Vartan Giacomelli presidente, e a latere i giudici Debora Landolfi e Sandra Lepore), si è tenuta l’udienza filtro con l’ammissione delle prove (20-25 testimoni tra accusa e difesa) e la conferma della costituzione di parte civile da parte della Regione Emilia Romagna, anche se la presenza del danno in capo alla Regione rimane sospesa in attesa delle risultanze dell’istruttoria essendo i fondi post-sisma di origine statale (e per questo l’avvocato Capri ha sollevato un’eccezione che ha occupato gran parte dell’udienza).
Nel febbraio 2016 le Fiamme Gialle estensi denunciarono in tutto sette persone (come detto, una è stata assolta) a conclusione di un’indagine nel corso della quale vennero sequestrati anche beni per circa 650mila euro. Secondo gli inquirenti un’azienda del centese avrebbe gonfiato l’importo dei lavori da eseguire per i danni post sisma 2012 in modo da ottenere finanziamenti più cospicui, tramite false fatture emesse per lavori considerati mai eseguiti e liquidate sia all’azienda (la Far, per circa 200mila euro), sia a una delle imprese che avevano eseguito i lavori (La Fenice).
I soldi illecitamente incassati – sempre secondo la tesi dell’accusa – sarebbero poi stati fatti confluire nella disponibilità di tre degli odierni imputati, attraverso i conti intestati a società ritenute di comodo a loro riconducibili che avrebbero in seguito messo in atto una serie di operazioni fittizie attraverso lo schermo di società create ad hoc: in una prima fase con la stipula di contratti preliminari di compravendita di immobili, poi con l’acquisizione di quote societarie e operazioni di finanziamento e, infine, con il pagamento di false fatture.
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