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14 Dicembre 2016
Mostar in occasione dei 50 anni dalla sua morte nella sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio a Bologna

Carlo Corsi, l’amante del colore, delle belle donne e della natura

di Redazione | 6 min

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Fasci di luce irrompono fra le frasche e i tronchi del giardino in cui signore immerse nella quiete vengono avvolte da variopinti riflessi. Carlo Corsi descrive su la tela le atmosfere della natura come in una sinfonia, come musica, quella musica che aveva accompagnato tutta la sua infanzia imbevuta dalla magistrale sapienza musicale della sua famiglia.

L’artista, amante del colore, delle belle donne e della natura, è ora protagonista di una mostra: “Luce e colore”, allestita dall’Associazione Bologna per le Arti in occasione dei 50 anni dalla sua morte nella sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio fino al 9 febbraio 2017, a cura di Stella Ingino (catalogo grafiche dell’Artiere).

Carlo Corsi, nacque a Nizza l’8 gennaio 1879 da Achille, che era tenore. Fu fratello del soprano Emilia. Stabilitosi a Bologna, manifestò sin dall’infanzia uno spiccato interesse per la pittura. Compiuti gli studi classici, si iscrisse, dietro pressioni familiari, alla facoltà di ingegneria. Frequentò in questo periodo la Pinacoteca civica dove, attratto dalla pittura emiliana del Seicento, si cimentò in un paziente lavoro di copista. Incoraggiato dal pittore bolognese A. Scorzoni, suo primo maestro, abbandonò ben presto l’università per dedicarsi esclusivamente alla pittura e nel 1901 fu tra gli espositori della Società Francesco Francia.

Nel 1902 si trasferì a Torino dove seguì i corsi all’Accademia Albertina; frequentò lo studio del pittore Giacomo Grosso, dal quale ricevette una rigorosa formazione accademica. Nel 1906, dopo il diploma, tornò a Bologna, in seguito alla morte del padre. Durante un viaggio in Europa nel 1907 visitò i musei olandesi e il Louvre, attratto dai grandi maestri del passato, da Vermer a Franz Hals. La conoscenza delle contemporanee vicende della pittura francese avverrà in seguito, dopo il ritorno in Italia, attraverso le riproduzioni in bianco e nero di alcune delle opere degli impressionisti e di Cézanne.

Sin dalla prima produzione l’artista si ispira a soggetti di vita quotidiana e borghese: la donna è la protagonista delle sue opere, ritratta ora all’interno di una stanza su un divano o dietro una tenda, ora all’aperto in un giardino o sulla spiaggia. Trattate con un linguaggio alieno da ogni riferimento naturalistico, tutto basato sul colore e sugli effetti di luce, le immagini femminili affiorano dalla superficie pittorica ora appena accennate con larghe stesure di colore, ora sinteticamente descritte con rapidi segni, densi di materia. Di volta in volta l’artista propone nuove soluzioni e invenzioni coloristiche, aspetti diversi di una ricerca unitaria che, partendo dal dato naturale, lo trasfigura liricamente in immagine pittorica, sino a giungere a formulazioni astratte.

Nel 1912 fu invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia. La sua pittura era ormai giunta ad un’elaborazione completa. Frequentò in questo periodo a Bologna il pittore A. Protti e altri artisti della generazione degli anni ’80 (G.Romagnoli, G.Fioresi, G.Pizzirani) con cui, partecipò al clima di rinnovamento culturale della Bologna postcarducciana.

Chiusi in un ambiente provinciale in cui gli unici punti di riferimento erano gli insegnamenti coerenti di alcuni maestri dell’Accademia e le antiquate mostre della Società Francesco Francia, i giovani pittori bolognesi ricercavano un orientamento preciso scontrandosi con gli esempi inattuali della cultura accademica e gli svolgimenti stanchi e di maniera dell’arte floreale e del simbolismo. L’informazione della cultura europea giungeva attraverso la Biennale di Venezia e orientava il gusto dei giovani verso le pitture di Bernard, di Mesdag, di Whistler e di Maris, di Serov e di Ensor, mentre nella birreria Rovani, luogo di riunione del mondo culturale bolognese, circolavano alcuni numeri della rivista Jugend. Le esigenze di rinnovamento artistico si indirizzarono intuitivamente nel senso di un’adesione ad una pittura “naturale”, che si richiamava alla tradizione coloristica dei veneti e degli spagnoli fino all’impressionismo e al postimpressionismo.

Carlo Corsi e gli altri artisti del gruppo parteciparono alle mostre della Seccessione romana dal 1913 al 1916, condividendone il clima di reazione alla cultura ufficiale. Pur non costituendo un vero e proprio gruppo artistico con una fisionomia ben precisa, tuttavia nell’edizione del 1914 i pittori bolognesi esposero insieme in una sala a loro dedicata; Carlo Corsi presentò Tango, opera in cui è chiaro l’ambito secessionista in cui muoveva la sua ricerca, lontana da quelle pericolose inclinazioni intimiste che caratterizzavano la produzione degli altri artisti bolognesi.

Alcuni critici tra cui G. Raimondi (1955), hanno individuato la matrice delle opere di Carlo Corsi di questo periodo nella poetica degli interni dei nabis, di Bonard e Vuillard. In realtà più che di una scelta culturale cosciente si tratta per Corsi di un’adesione istintiva, come lui stesso sostiene “…con riferimento ai miei primi lavori la critica citò i pittori francesi, i post-impressionisti. Non furono i soli, in verità, su cui feci le mie esperienze; ma del resto era direi fatale che, in uno spirito di intelligenza mediterranea, pur senza imitarli, fossi portato naturalmente a muovermi su un terreno pittorico dove si muovevano anch’essi”. Non si tratta dunque di precisi riferimenti alle premesse nabis e vuillardiane in particolare, quanto di un’istintiva sensibilità culturale che conferisce alla ricerca di Carlo Corsi un’impronta di modernità e un respiro europeo situandola al di fuori del ristretto ambiente provinciale bolognese. Per quanto riguarda i rapporti con la cultura europea, inoltre, è da sottolineare il ruolo informativo svolto dalle mostre della Secessione romana durante le quali, nelle edizioni del 1913 e’14, furono presentate opere di Klimt, Matisse, Bonard, Valloton, e Vuillard.

Corsi partecipò in questi anni alla Biennale di Venezia (1914) e alla Mostra d’arte a San Francisco (1915). Al 1914 si data una nuova maniera nella ricerca dell’artista: le immagini femminili, le scene d’interno o di villeggiatura sono rese sfruttando al massimo le potenzialità espressive del colore con pennellate rapide, secondo modi di più diretta influenza matissiana: lo schema compositivo e la perfetta equivalenza pittorica tra la figura femminile ritratta e l’ambiente che la circonda preludono alle soluzioni più decisamente astratte dell’ultimo periodo (La Lettura del 1919). Negli anni 1920-30 la ricerca di Carlo Corsi rimane immune dalle suggestioni volumetriche e monumentali della cultura di “valori plastici” e del Novecento. Così come aveva negato la sua partecipazione al futurismo, Corsi restò isolato, ma non assente, dalle vicende dell’arte italiana del ritorno all’ordine e del futurismo.

All’inizio degli anni’30 si trasferì nello studio alla torre dei Malvasia dove dipinse la serie delle Torri di Bologna e iniziò i primi studi per le grandi composizioni realizzate successivamente nel corso degli anni’50. La produzione di Carlo Corsi continua in questo periodo su due diversi piani, corrispondenti l’uno ad una visione interiore con immagini femminili che affiorano dalla materia pittorica con una notevole carica sensuale, l’altro ad una resa più immediata ed espressiva, in cui l’uso del colore, di origine fauve, si stempera in effetti di controluce densamente tonali.

Nel 1941 l’assegnazione del premio Bergamo (destinato ad un pittore giovane e paradossalmente assegnato ad un artista ormai sessantaduenne ma di fatto pressochè sconosciuto) coincide con una graduale riscoperta dell’opera di Carlo Corsi. Frequentò in quel periodo Guidi, Mario e Saverio Pozzati, ed alcuni artisti della giovane generazione bolognese. Nel 1945 Corsi fu tra i fondatori della galleria “Cronache”, che promosse un’azione di rinnovamento dell’ambiente artistico bolognese, intervenendo con impegno ai dibattiti dei circoli Labiola e Las.

In relazione con questa sua vitalità intellettuale si pone intorno al 1947 una nuova fase di ricerca: ormai completamente sganciato da ogni riferimento naturalistico, Carlo Corsi realizza con particolare felicità inventiva una serie di collage astratti, utilizzando carte colorate, cartoni ondulati, nastri, manifesti strappati.

La sperimentazione del colore come elemento autonomo darà luogo nelle successive prove pittoriche degli anni 1950-60 ad un uso oramai totalmente libero della materia cromatica.

Nel 1958 ottenne importanti riconoscimenti ufficiali con la mostra alla Biennale di Venezia, presentato da Francesco Arcangeli, e la pubblicazione della monografia di M.Valsecchi. Nel 1964 fu allestita un’antologica nel Museo civico di Bologna sempre curata da Francesco Arcangeli.

Carlo Corsi morì a Bologna il 27 agosto del 1966.

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