Riva del Po
25 Novembre 2016
Botta e risposta tra Calvano e Fabbri. Sì per "restaurare la Costituzione", no "per garantire la democrazia"

Pd e Lega, la rincorsa agli indecisi

di Redazione | 4 min

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referendumdi Valentina Faggion

Serravalle. “I sondaggi americani davano la sconfitta di Trump, quelli francesi sulle primarie davano la vittoria di Sarkozy. Le elezioni hanno in entrambi i casi stabilito il contrario. Quindi siamo fiduciosi, dato che i sondaggi italiani prospettano la vittoria del ‘no’”. Paolo Calvano, segretario regionale del Partito Democratico, ha dato inizio con un po’ di ironia al dibattito in Sala Eden a Serravalle sul referendum costituzionale.

“E per quanto riguarda la grande percentuale di indecisi sul voto, devono tenere a mente quali sono i meriti di questa riforma – ammonisce Calvano -. Se ci dovesse essere una forte astensione, sarà sicuramente perché i cittadini hanno perso fiducia nelle istituzioni: con la riforma vogliamo ridare forza e credibilità agli organi politici, dando loro un ulteriore strumento per poter lavorare al meglio”.

Anche il capogruppo in Regione della Lega Nord, Alan Fabbri, non crede che i sondaggi sul risultato del referendum siano affidabili: “I sondaggi non sono veritieri. Danno in vantaggio il ‘no’, ma questo non può essere un dato reale, visto che l’intero sistema mediatico è a favore della scelta del governo di riformare la Costituzione, emarginando i non favorevoli al progetto”.

Tra i due relatori si sono susseguiti una serie di botta e risposta sui principali punti che la riforma costituzionale andrebbe a modificare: il Senato delle autonomie, la cancellazione delle Province, la diminuzione del potere delle Regioni nei rapporti con lo Stato e quindi la modifica al titolo V della Costituzione.

Per quanto riguarda il Senato delle autonomie, Calvano è convinto sia un’ottima soluzione per avere maggiori risparmi e migliori prestazioni: “Da 315 senatori attuali si potrebbe arrivare a 95 (tra sindaci e consiglieri regionali) e altri 5 nominati dal presidente della Repubblica (non con nomina a vita). Se passerà la proposta di legge Fornaro-Chiti, i senatori saranno eletti dai consiglieri regionali in conformità con il volere degli elettori, dato che alle prossime elezioni per il consiglio regionale (nel 2019) si voterà per eleggere quest’ultimo organo, ma anche per dare il voto a chi si vuole al Senato delle autonomie”.

Fabbri, sostenitore del ‘no’, ha affermato di apprezzare il taglio al numero dei senatori, ma trova che con la riforma si potrebbe andare a creare un blocco nella politica: “Non c’è certezza sull’approvazione della proposta di legge Fornaro-Chiti e quindi si potrebbe arrivare ad avere un’elezione indiretta dei senatori. A oggi la gran parte delle regioni italiane è governata dal Pd e per questo le nomine dei senatori porterebbero a quel tipo di maggioranza politica. Se le elezioni politiche del 2018 dovessero portare all’elezione di un presidente del consiglio di altra fazione, si assisterebbe a un blocco politico. Se dovesse infatti vincere il ‘sì’ non sarà più compito del Senato dare la fiducia al governo. È per questo necessario mantenere il bicameralismo paritario, attualmente previsto dalla Costituzione”.

Ulteriore aspetto negativo individuato da Fabbri è il fatto che il Senato avrà il potere di decidere sui decreti riguardanti le leggi elettorali e le normative europee. “Se passa la riforma, il Senato fino al 2019 (anno delle elezioni regionali) sarà a maggioranza Pd, che avrà quindi il potere di modificare aspetti importantissimi della nostra legislazione”.

Altro punto di acceso dibattito è stato quello sulla modifica al titolo V della Costituzione. Secondo il segretario regionale democratico la riforma andrebbe a mettere nero su bianco quali sono le materie di competenza delle Regioni e quali quelle dello Stato, evitando l’impantanamento di moltissimi iter giudiziari. “L’ultima modifica a questa parte della Costituzione risale al 2001. Da allora si ha un ricorso giudiziario tra Stato e Regione ogni tre giorni. La riforma chiarirebbe i compiti di entrambi e creerebbe quel tipo di federalismo tanto voluto dalla Lega. Inoltre se una Regione si dovesse dimostrare virtuosa, potrà avere maggiori spazi in autonomia; la clausola di supremazia dello Stato serve solo a evitare sprechi e a unificare le normative tra le Regioni”.

Per niente d’accordo Alan Fabbri, che ha sostenuto il proprio disappunto sulle affermazioni di Calvano: “Se la Regione deve dipendere dallo Stato nelle decisioni, non si parla di federalismo. Si potrebbe parlare di questo se la Regione potesse per esempio autogestire il gettito delle tasse pagate dai suoi cittadini, senza doverli consegnare allo Stato. Con quei soldi si potrebbero gestire al meglio le esigenze degli enti locali, aumentando i servizi e le prestazioni delle Regioni”. Secondo la Lega anche la cancellazione delle Province porterebbe a un accentramento del potere dello Stato, andando quindi a togliere autonomia decisionale alle Regioni e agli enti locali.

Dibattito, quello di giovedì sera, decisamente sentito sia dai relatori, sia dal pubblico, che non ha mancato di dare la propria opinione al termine della serata. Per sapere se i sondaggi sono davvero attendibili, non resta che aspettare lo spoglio delle schede dopo la votazione del 4 dicembre.

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