Politica
30 Ottobre 2016
Il senso della pena e il rispetto dei diritti dei detenuti nel sistema penitenziario italiano

L’umanità dietro le sbarre

di Redazione | 5 min

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unnamed (15)di Federica Pezzoli

Una riflessione sul senso della pena e sulla situazione del sistema carcerario italiano, partendo dagli spunti contenuti negli scritti di Alessandro Margara, direttore generale dei Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, scomparso lo scorso agosto, “probabilmente il primo vero magistrato di sorveglianza nel nostro paese e il primo garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana”. Così il consigliere comunale di Sinistra Italiana, Leonardo Fiorentini, nella sua introduzione dell’iniziativa “Il senso della pena. Incontro in ricordo di Sandro Margara sulla pena, fra giustizia, umanità e sicurezza dei cittadini”, tenutasi sabato mattina al Centro Lgtb Ripagrande12, durante la quale è stato presentato “La giustizia e il senso di umanità. Antologia di scritti su carcere, opg, droghe e magistratura di sorveglianza”, a cura di Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana (Fondazione Michelucci Press, 2015). Oltre al curatore del volume, all’incontro erano presenti: Ilaria Baraldi, consigliera comunale Pd, Andrea Pugiotto, costituzionalista dell’Università degli studi di Ferrara, e Marcello Marighelli, garante dei detenuti di Ferrara.

“In Italia il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio, il 50% sono tossicodipendenti, il 30% immigrati e un 10% è composto da senza fissa dimora, persone con problemi psichiatrici o con problemi di alcolismo”, da questi dati, secondo Baraldi, emerge come il carcere sia il luogo di “detenzione sociale” anzi, citando proprio Margara: il sistema penitenziario viene usato come “strumento sociale per separare le situazioni di disagio sociale dalla società e sequestrarle in carcere”. “Ci piace trovare soluzioni semplici a problemi complessi”, ha detto ancora la consigliera Pd, e certamente è più facile “la risposta penale”, “trovare il colpevole e rimuoverlo”, piuttosto che valutare il contesto di disagio sociale e la mancanza di politiche di prevenzione. Ecco dunque da dove nasce quel “diffuso senso di insicurezza” strumentalizzato dai media, quella richiesta di una pena certa. Le politiche securitarie, diffuse sia a destra sia a sinistra, sono dunque secondo Ilaria Baraldi “offerta di punizione” in risposta a una “domanda di punizione”, citando ancora Margara.

Andrea Pugiotto, aprendo il proprio intervento, ha voluto ricordare come Alessandro Margara abbia “sempre operato per tradurre in realtà il disegno costituzionale della pena” e proprio su questo tema il costituzionalista di Unife ha offerto numerosi spunti di riflessione. “La Costituzione punisce la tortura (art.13, comma 4), ma nel nostro codice non c’è ancora il reato di tortura” e anche il ddl ora in discussione “è deludente perché la tortura viene definita come reato comune”: si configura quindi un rapporto fra “un forte e un debole”, ma non viene considerato lo specifico caso del “rapporto fra Stato e individuo singolo”.

Per quanto riguarda poi la certezza della pena, secondo il docente c’è stato un “completo capovolgimento” del senso dell’espressione: non significa più una pena predeterminata rispetto al reato, come garanzia rispetto all’arbitrio di un potente di turno e alla proporzione fra reato e sua punizione. Oggi “il cittadino deve essere certo che la pena sia comminata in tutto il suo rigore”, inoltre la maggioranza della popolazione sembra concepire la pena “nel suo significato di sofferenza” e sembra “non saper distinguere l’errore dall’errante”: “chi è punito deve soffrire”, senza che ci sia una speranza per il reo di cambiare. A ciò si aggiungono anche per Pugiotto, come per Baraldi, “la demagogia securitaria di facile presa elettorale, usata quindi sia a destra sia a sinistra” e “il format collaudato dell’insicurezza percepita” cavalcato dai media.

Franco Corleone, oggi garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana e coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, ha conosciuto Margara quando era sottosegretario al Ministero della giustizia con la delega all’organizzazione Giudiziaria, alla giustizia minorile e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: “abbiamo lavorato insieme per molti anni”, per esempio stendendo il nuovo regolamento penitenziario approvato nel 2000, “per la comunità che si occupa di carcere era un mito, per la sua umanità e al tempo stesso severità”.

Corleone ricorda come Margara parlasse del carcere come “discarica sociale”, legandolo al “fallimento dello stato sociale” e come, rispetto alla certezza, egli volesse privilegiare “la flessibilità della pena”. Secondo il garante della Toscana, “il carcere non può essere un tempo morto”, ma deve divenire “un luogo che offre possibilità di reintegrazione”: “la grossa questione che dobbiamo affrontare è dunque come si riempie il tempo del carcere”. Parlando della recente visita del Presidente del Consiglio all’istituto detentivo di Padova Corleone ha affermato provocatoriamente che sarebbe urgente “porre la questione non della riforma costituzionale, ma del codice penale dato che in Italia abbiamo ancora il Codice Rocco”, retaggio del regime fascista. È necessario superare il carcere nel quale oltre la cella, seppur aperta, “non c’è nulla”, “bisogna che all’interno del carcere la persona ristretta possa muoversi liberamente e con responsabilità”. Per questo nel tempo che gli rimane del proprio incarico, anche come coordinatore dei Garanti territoriali, l’obiettivo che si è posto è “superare la concezione burocratica del carcere” e “cambiare le regole della vita quotidiana”: non è solo una questione dello spazio nelle celle, ma di quante brande occupano quello spazio e di quanti bagni ci sono, se quei bagni hanno le docce e se le docce hanno o meno l’acqua calda.

La parola è poi passata a Marcello Marighelli, garante dei diritti dei detenuti di Ferrara, per il quale Margara è stato ed è tuttora un “magister” più che un magistrato. “In questi cinque anni di esperienza come garante ho avuto circa 300 colloqui con i detenuti e il tema dell’aspirazione al cambiamento è il più ricorrente”. “Lo voglio dire proprio in questo momento in cui il territorio non ha dato un esempio proprio edificante – ha affermato Marighelli – in carcere a Ferrara i detenuti stranieri partecipano a tutte le iniziative come e quanto i detenuti italiani”: anche in carcere infatti, “data la scarsità di risorse, gli stranieri vengono spesso esclusi perché si pensa che con loro non vale la pena di avviare percorsi”. Secondo Marighelli, a Ferrara “stiamo procedendo su una strada che non è facile e sulla quale non tutti sono d’accordo, né all’interno né fuori”: “il carcere si è aperto alla città e alla cittadinanza”: gli eventi come i Buskers e Internazionale entrano all’Arginone, così come il teatro e il suo pubblico, mentre i detenuti-attori hanno recitato al Comunale, grazie ai laboratori di Horacio Czertok; inoltre “la scuola professionale alberghiera e agraria” tiene corsi e laboratori. Marighelli, infine, va molto orgoglioso dei “sabati delle famiglie”, perché “i detenuti non smettono di essere genitori” e durante queste occasioni possono incontrare non solo i figli minorenni, ma hanno l’occasione di “riunirsi al nucleo famigliare” in un ambiente adatto.

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