Lettere al Direttore
22 Ottobre 2016

Caso Milluzzo e lo scandalo degli obiettori di coscienza

di Redazione | 3 min

Sul caso gravissimo di Valentina Milluzzo, ricoverata all’ospedale a Catania morta di parto a 32 anni insieme ai due figli che portava in grembo, sta indagando la magistratura e sui fatti accaduti speriamo di vedere presto la luce.

Ciò che colpisce è come si possa ancora morire in queste condizioni, dopo ore di sofferenza per complicazioni nella gestazione e pare anche a causa di una grave infezione, divenuta per lei letale. Il destino dei due gemelli era forse già segnato per oggettivi problemi di salute ma rimane il fatto, ancora inspiegabile, della morte della donna all’interno di un reparto, dove tutti i medici in servizio si sono dichiarati “obiettori di coscienza” e il che fa pensare. Fa molto pensare che in un intero reparto di ostetricia tutti i medici siano obiettori.

Il che riporta, purtroppo, a riflettere su quale sia ancor oggi la condizione della donna.

Vi è un articolo della L.194/78, esattamente l’articolo 9, che non permette di invocare l’obiezione di coscienza, quando si stanno verificando le condizioni sanitarie che potrebbero compromettere la vita della gestante. Questo è davvero il nodo su cui riflettere a proposito delle condizioni di Valentina Milluzzo.

In questo caso la donna era sofferente, si dice che sia stato invocato un intervento anche dai familiari, al quale non si sarebbe dato seguito, ed è sopraggiunta la morte.

In casi come questi le opinioni si dividono dolorosamente e sulla ribalta si assiste a disquisizioni come quella di chi dovesse essere salvato – madre e/o figli – a discapito degli altri, come se la legge e il diritto delle donne di fruirne non ci fosse e non vi fosse tutta una letteratura su casi e situazioni del genere.

Tali eventi costringono le Associazioni femminili e l’opinione pubblica più sensibile alla vera applicazione dei diritti di tutti, a richiamare ancora una volta, anche se ormai a distanza di alcuni decenni, il diritto della donna di decidere in base al principio di autodeterminazione, come già la legge 194/78 sancisce: una legge di uno stato laico, in numerosi, troppi casi purtroppo disattesa.

Noi diciamo che nel caso di Catania si doveva essere più attenti e decisi proprio sull’applicazione del disposto legislativo, ancora di più se le donne in un reparto di ospedale sono in condizioni al limite della sofferenza e forse non possono più decidere perché ormai prive di conoscenza e coscienza.

Tuttavia, anche in tali condizioni le donne dovrebbero avere la certezza che il diritto alla vita venga ottemperato e che non ci siano ulteriori colpevolizzazioni su scelte come quella di un aborto terapeutico alla luce di una palese priorità di salvare una vita.

Come Centro antiviolenza e Associazione femminile a tutela e protezione dei diritti delle donne il Centro Donna Giustizia di Ferrara e l’Udi si stringono forti attorno al dolore di una famiglia per una morte che con tutta probabilità, poteva essere evitata.

Centro Donna Giustizia di Ferrara e Udi – Unione donne in Italia di Ferrara

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