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8 Ottobre 2016
Il capolavoro torna dopo lunghi secoli a Vicenza, in una mostra a Palazzo Montanari

Giovanni Bellini, la Trasfigurazione

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

La Galleria d’Italia – Palazzo Montanari di Intesa Sanpaolo di Vicenza presenta al pubblico fino all’11 dicembre La Trasfigurazione, capolavoro di Giovanni Bellini.

Proveniente dal Museo di Capodimonte di Napoli. Curata con il museo partenopeo, l’esposizione dà avvio a Vicenza alla rassegna L’Ospite illustre, che propone nelle sedi museali di intesa Sanpaolo un’opera di assoluto rilievo proveniente da collezioni italiane e straniere, legate alla storia della città nella quale è temporaneamente ospitata.

Ѐ la prima volta che La Trasfigurazione torna a essere ammirata a Vicenza, dopo lunghi secoli di assenza. La preziosa tavola ha infatti un forte legame con il territorio, essendo stata identificata come la pala eseguita da Bellini attorno al 1479 per la cappella Fioccardo nel Duomo di Vicenza. La sua presenza oggi a Palazzo Leoni Montanari costituisce quindi un temporaneo ritorno nella città cui era originariamente destinata.

Giovanni Bellini, Trasfigurazione, 1480 – 1485; olio su tavola; m 1,15 x 1,51. Napoli, Galleria di Capodimonte

Secondo il Vangelo di Matteo (XVII, 1), Gesù condusse Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte (il Tabor) e qui si “trasfigurò”. Comparvero Mosè ed Elia e parlarono con lui. Allora una nube luminosa li ricoprì, si udì la voce di Dio provenire dalla nube e i discepoli “caddero faccia a terra ed ebbero molta paura”.

La Trasfigurazione è opera capitale di Giovanni Bellini. L’artista veneziano rinuncia a rappresentare, secondo la narrazione evangelica e secondo l’iconografia tradizionale, i tre protagonisti (Cristo, Mosè, Elia) in alto e i tre apostoli (Pietro, Giacomo, Giovanni) in basso sul colle Tabor, limitandosi a indicare la differenza gerarchica fra i due gruppi con le diverse posizioni: sono, tutti uomini che vivono in un’unica natura amica. Per questo rinuncia anche alla prevalenza quantitativa delle figure paesaggio, stabilendo così un nuovo rapporto fra l’uomo e la natura.

Nella pittura fiorentina, che intorno al ’60 inizia il processo di inserimento dell’uomo nel suo ambiente naturale, il primo resta sempre dominatore. Con Bellini si viene invece creando una relazione egualitaria, per la quale l’uomo e la natura convivono senza predominanza dell’uno sull’altra o viceversa, una religione nella quale tutto il creato è ugualmente importante. Lo spazio, in quest’opera non è realizzato con l’impianto prospettico-geometrico fiorentino. Anzi per evitare la centralità del punto di vista, la recinzione rustica in primo piano è obliqua rispetto alla disposizione trasversale delle figure. Il senso della distanza è creato dal passaggio graduale dei toni di colore, dal marrone dei primi piani all’azzurro del cielo, perché i colori caldi avvicinano, quelli freddi allontanano. Questa scoperta di Bellini non è conseguenza di ricerca scientifica; tuttavia, forse intuitivamente, egli crea la prospettiva cromatica che diventerà una caratteristica della pittura tonale veneta. Tutto è costruito con il colore. Cristo, dai riflessi luminosi della candida veste che lo avvolge, riceve leggerezza, quasi una levitazione, che esprime il suo “trasfigurarsi”.

Giovanni Bellini ha trasformato l’alto monte in una bella campagna in cui ha inserito, al centro sullo sfondo, due monumenti ravennati: il Mausoleo di Teodorico, e il campanile di Sant’Apollinare in Classe. L’opera è firmata.

Ad accogliere l’Ospite illustre sono altri due capolavori esposti con La Trasfigurazione, prestigiosi lasciti di Giovanni Bellini alla città, per decenni fonte di suggerimenti per gli artisti locali e per secoli occasioni di ammirazione collettiva.

Il celeberrimo Battesimo di Cristo, la grande pala (misura 4 metri in altezza per 263 cm. di base) datata tra il 1500 e il 1502 e conservata in Santa Croce, e il Cristo crocifisso in un cimitero ebraico, tavola in stupefacente stato di conservazione collocata in Palazzo Chiericati. Giovanni Bellini visitò Vicenza diverse volte, ammirandola profondamente e ricordandola più e più volte nelle sue combinazioni architettoniche di città ideali e nell’abituale calma silente e sospesa della sua pittura.

Il Battesimo di Cristo

Olio su tela, firmato “IOANNES BELLINVS” sul cartellino fissato a una roccia.

In una delle sue ultime pale d’altare Bellini realizza un’ormai perfetta fusione tra figure e paesaggio. La scena del Battesimo viene immersa in uno scenario montano, che forma una sorta di anfiteatro naturale. La figura di Cristo, seminuda, è al centro della composizione; la sua frontalità e l’espressione di calma quasi soprannaturale sono riprese dall’immagine bizantina del Pantocrator, che Bellini aveva utilizzato per la Trasfigurazione conservata a Napoli. Alla sua destra, in posizione sopraelevata, ma in ombra, il Battista allunga, il braccio con la ciotola d’acqua, che diventa così punto focale dell’intera composizione. Il suo gesto, peraltro, è soltanto un tramite, in quanto il vero Battesimo è la discesa dello Spirito Santo: la tela è infatti percorsa verticalmente da un asse divino, su cui sono allineati Cristo, la ciotola, la colomba e la figura del Padre, circondata da coppie di cherubini, il cui colore riprende quello delle vesti di Dio. Il collegamento visivo tra la zona celeste e quella terrena è fornito dalle cime azzurre che si profilano all’orizzonte e della linea delle nuvole gialle, rese luminose dalla luce calda di un tramonto. Ancora una volta, cielo e paesaggio non sono elementi di contorno, bensì portatori di sentimenti e significati, tanto quanto le figure. All’evento sacro assistono tre angeli, le cui vesti costituiscono un momento di accensione cromatica rispetto alla generale tonalità bruna della tavolozza. Alla macchia rossa di uno dei mantelli fa da controaltare il pappagallo in primo piano. Bellini lo raffigura con cura lenticolare, applicata del resto a ogni dettaglio della scena, dai sassi visibili sul fondo del fiume alle gocce d’acqua che cadono dalla ciotola, dai merli della rocca sulla collina alle foglie e ai ciuffi d’erba. Straordinaria è anche la resa delle ombre lunghe e della luce, che proviene da destra, toccando il cartellino della firma, il perizoma e il corpo di Cristo, il braccio del Battista, l’interno della ciotola.

In Palazzo Chiericati, in concomitanza con la riapertura dopo il completamento dell’Ala Novecentesca, il curatore scientifico Giovanni Federico Carlo Villa ha voluto dedicare una mostra dossier, raffinatissima, al Cristo crocifisso in un cimitero ebraico, opera patrimonio di Palazzo Thiene. La tavola è preziosa per l’originalità del soggetto rappresentato. Infatti non si è difronte a una ‘tipica’ Crocifissione.

Qui Bellini colloca il solo Cristo crocifisso in un ambiente del tutto atipico, caratterizzato da tre lapidi tombali che forma ed iscrizioni dichiarano ebraiche, in un

paesaggio extraurbano prossimo a una città che appare a un tempo reale e ideale.

La riflessione su queste tre opere è un’occasione unica, in concomitanza con la ricorrenza del cinquecentenario della morte del grande artista, per un approfondimento su un momento fondamentale su le sorti della pittura veneta e conseguentemente di quella italiana, prima, ed europea, poi.

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