Attualità
3 Ottobre 2016
Il ritratto dei terroristi di 'casa nostra' tracciato da tre sociologi a Internazionale

I jihadisti europei? Giovani, nichilisti, psicologicamente fragili

di Daniele Oppo | 4 min

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Da sinistra: Roy, Orsini, Khosrokhavar e Formigli

Da sinistra: Roy, Orsini, Khosrokhavar e Formigli

Chi sono gli europei che scelgono il terrorismo? Giovani sempre più giovani, donne, nichilisti persi nell’assenza di ideologie globali alla ricerca di un’utopia, psicologicamente fragili e prevalentemente francofoni.

È – per sommi capi – il ritratto emerso nel dibatto moderato da Corrado Formigli (Piazza Pulita, La7) al cinema Apollo tra i sociologi Farhad Khosrokhavar (Scuola di studi superiori di Parigi) e Alessandro Orsini (Luiss Guido Carli) e l’orientalista e politologo francese Oliver Roy.

L’obiettivo era proprio quello, capire chi sono e cosa vogliono i giovani europei che scelgono la jihad.

“Ci sono giovani sempre più giovani, anche minorenni di 15 anni, che fanno propaganda per Daesh – spiega Roy – e ci sono sempre più donne. Daesh oggi è bloccato territorialmente, è più difficile da raggiungere e dunque i giovani volontari agiranno in Europa. Sono al contempo meno organizzati ma questo porterà ad attentati più improvvisati e anche più difficili da prevedere”.

Per Khosrokhavar in Europa c’è una logica che è “quella della paura, ma una parte della gioventù europea è affascianta da Daesh o da Al-Qaid, e sono donne, adolescenti, gruppi un tempo minoritari come i convertiti che ora in alcuni Paesi sono il 20-30% dei foreign fighters, e sono spesso persone psicologicamente fragili”. Il perché secondo il sociologo è che in Europa c’è un grosso problema: “Il vuoto ideologico, non ci sono più utopie e i giovani sono attratti da quella di Daesh”. Insomma, c’è un vuoto da colmare e lo stiamo lasciando al terrorismo.

Ma attenzione, “il terrorismo non è espressione della frustrazioni della popolazione musulmana in Europa”, ammonisce Roy, “ci sono certamente problemi nelle periferie, ma c’è soprattutto un problema di valori, di richiesta di una certa spiritualità. Può sembrare un termine strano, ma bisogna pensare che tutti i terroristi europei si sono uccisi: o si fanno saltare in aria o aspettano che la polizia li ammazzi. Quei c’è una dimensione nichilista che è fondamentale per questi giovani”. Ritorna il potere mancante delle ideologie: “L’estrema sinistra non è più un movimento globale ma locale e chi vuole combattere contro il sistema oggi è Daesh”. Questo, aggiunge più avanti Khosrokhavar, porta a una “polarizzazione: da un lato verso il terrorismo jihadista, dall’altro verso l’estrema destra per difendere l’Europa dall’islamismo, anche se bisogna considerare le tante differenze tra Paesi e ognuno deve scegliere le soluzioni in base alle proprie specificità”.

Secondo il sociologo Orsini – che ha studiato non solo i terroristi islamici ma anche i gruppi neonazisti e satanisti – in molti casi tutto nasce da una crisi esistenziale: “Quello che io chiamo il terrorista di vocazione è un ragazzo che abbraccia la jihad per appagare un bisogno spirituale”. Le fasi sono quelle riassunte nell’acronimo Dria: “C’è la fase della disintegrazione (D) dell’identità sociale, quello della ricostruzione (R) attraverso un’ideologia radicale, l’ingresso in un gruppo (I) e l’alienazione (A) dal mondo circostante”.

Roy fa poi notare come la maggior parte dei terroristi europei sono francofoni e la spiegazione è questa realtà si verifica perché “subiscono la maggiore deculturazione dell’Islam: c’è una rottura linguista e religiosa tra giovani e i loro genitori. La radicalizzazione è legata all’assenza di trasmissione dell’Islam: i giovani lamentano che i genitori non glielo hanno trasmesso e molti scrivono alla loro madre cose tipo ‘sei una peccatrice, ma grazie al mio sacrificio andrai in Paradiso’”.

Una separazione culturale, dunque, che riguarda non solo le famiglie: “In Francia gli Imam, che sono quasi tutti di prima generazione, non danno ai giovani le chiavi per vivere nella società moderna. Sembrerà paradossale ma vivono lo stesso problema della Chiesa cattolica, la perdita di vocazione, per questo devono importare Imam dai paesi africani, come la Chiesa fa con i sacerdoti, che però sono molto più preparati”.

Le vie d’uscita proposte guardano da due parti. La prima è quella della sicurezza: “A breve termine – spiega Khosrokhavar – servono per rassicurare i cittadini, perché c’è la paura. La gente deve sapere che lo Stato li protegge”. E, secondo Orsini, nonostante gli attentati, la polizia funziona: “Se così non fosse, Isis farebbe una strage al giorno, invece rivendica atti di lupi solitari che non coordina, non controlla e non finanzia”. Per il sociologo questa è “una vittoria dei musulmani d’occidente che hanno rifiutato il messaggio dell’Isis: dal 2001 nessuna organizzazione terroristica è stata in grado di coordinare azioni dall’esterno verso l’interno dell’occidente”. Questo perché “i valori liberali sono forti e hanno un’altissima capacità di persuasione: le persone vengono verso l’Occidente non vanno verso Raqqa”.

E, dunque, la misura a lungo termine non può che essere culturale, senza leggi liberticide (come quella anti-burquini): “Siamo in una società che vede l’Islam come qualcosa di esogeno, ma ci sono 20 milioni di musulmani in Europa e deve iniziare ad essere accettato – afferma Khosrokhavar -. Dall’altro lato però deve esserci una culturalizzazione dei musulmani, anche nei rapporti tra musulmani”. “Aspettiamo dalle moschee che siano capaci di spiegare un Islam nello spazio pubblico europeo, e questo manca”.

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