Attualità
29 Settembre 2016
Lyondellbasell sta per sostituire le vecchie flare. Investitmento costato 10 milioni di euro

Le nuove torce del petrolchimico bruciano, ma non si vedono

di Redazione | 4 min

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IMG_3080di Silvia Franzoni

Quando le torce alte (stack flare) del petrolchimico bruciano eliminano quanto residuo della reazione di polimerizzazione del gas propilene. Bruciano cioè etilene e propilene, “un po’ come succede con il fornello di casa”. Un procedimento sottoposto a norme ministeriali e continui controlli, che però desta comprensibile preoccupazione nella cittadinanza e non di rado sfocia in allarmismo.

A tranquillizzare gli animi – o almeno a cercare di farlo – sull’attività dello stabilimento, nell’ambito della programmazione periodica di incontri sul tema sicurezza della quarta Commissione consigliare, è il direttore Lyondellbasell Poliolefine srl Gianluca Gori. “Se si vede del fumo e la fiamma si ha una percezione di emergenza: ma questa è infondata, l’attivazione della torcia significa che il gas infiammabile è evacuato e garantisce il funzionamento dell’impianto. La torcia è un elemento di sicurezza, e per noi la sicurezza è il core business”.

Ogni singola attivazione delle torce – il limite normativo non riguarda il numero di accensioni ma le emissioni, ndr – è segnalata: “via Fax alla serie di enti competenti sul territorio nazionale – spiega Gori – e via sms a Prefettura e Comune di Ferrara, secondo una rendicontazione dell’accaduto che si svolge su due orizzonti temporali, entro i primi 15 minuti dal fatto e poi a un’ora dallo stesso per l’aggiornamento”. Inoltre, “un sistema di centraline Arpa tutt’attorno al polo chimico garantiscono il monitoraggio immediato di eventuali sforamenti delle emissioni”.

E proprio ieri il sito di Ifm segnalava alle 6.44 la già preventivata accensione sporadica di torce nel reparto Mpx di Basell, fatto dovuto a bonifiche in corso. Le sostanze coinvolte sono state propilene ed etilena ma anche azoto e propano.

unnamedE ogni volta che si accende una stack flare, in gioco non c’è soltanto un delicato sistema di equilibri di ‘buon vicinato’ tra il petrolchimico e la città, perché è l’azienda stessa “ad avere tutto l’interesse affinché si bruci nelle torce la minor quantità di gas possibile”. La perdita economica della combustione del propilene è quantificata a circa mille euro per tonnellata, e nel 2005 il dispendio ha toccato le 7 mila tonnellate.

Dal 2005 ad oggi, dunque, Lyondellbasell ha indirizzato i suoi sforzi al recupero dei monomeri e all’eventuale riutilizzo del calore emesso dalla combustione delle torce: così, dalle caldaie ai nuovi compressori – che significano investimenti a 8 cifre per l’azienda americana – le nuove soluzioni hanno portato a circa 200 le tonnellate di gas bruciato in casa Lyondellbasell nel 2015, segnando una quota di risparmio del 77%. “E confermeremo il trend anche nel 2016”, assicura il direttore Gori. Ma se è vero che le torce continuano a bruciare, “e lo faranno sempre, è impossibile avere zero emissioni”, la città se ne accorgerà sempre meno.

Stanno per concludersi infatti le prove di commissioning, ovvero i test di prestazione, della nuova grande torcia ground flare (letteralmente ‘torcia a terra’) di Lyondellbasell che manderà in pensione le due stock flare, “una miglioria decisa in piena autonomia dall’azienda – precisa Gori nel presentarla – un esempio di responsabilità nei confronti della città”. E che ottimizzerà ancora il recupero dei monomeri.

Nei 2500 metri quadri della ground flare bruceranno a diverse intensità 653 ‘fornelli’: costato 10 milioni di euro, e nato come fase di studio già nel 2010, il progetto ground flare si appresta dunque “ad entrare in esercizio a brevissimo”. Non si vedranno più le torce accese, insomma, ma queste bruceranno. E non si può assicurare, lo dice Gori, che lo faranno con minore frequenza: “bruceranno per sempre, abbiamo dei limiti che rispettiamo e questi sono legati non al numero di eventi ma alle soglie annuali di emissioni”.

Nuova torcia e nuovi investimenti per il consolidamento della produzione: i primi riconoscimenti dell’impegno arrivano da oltreoceano, perché negli Usa un impianto con una capacità produttiva di 500.000 tonnellate annue verrà realizzato con la tecnologia nata proprio a Ferrara, nel Centro Ricerche ‘Giulio Natta’. Un centro che “dopo l’insostenibilità del sistema finanziario a cui è andata incontro l’azienda nel 2010 ha subito razionalizzazioni ma non si è mai pensato di chiuderlo – evidenzia – ed ecco i risultati”. E se la città diffida ancora di ciò che succede dietro i cancelli del polo industriale, forse è anche per colpa di una “comunicazione troppo tecnica”. I consiglieri comunali suggeriscono allora di aprire le porte del petrolchimico: “scegliete una data, noi siamo sempre disponibili”, concorda Gori.

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