L’’intitolazione del carcere di Ferrara al Maresciallo Costantino Satta da un lato mi ha riempito di gioia ma, dall’altro, mi ha suggerito amare considerazioni su Ferrara, che da “città del silenzio” – come la definì D’Annunzio – sembra essere divenuta la città dell’omertoso silenzio, almeno per ciò che riguarda i “misteri” politici legati ai tragici anni 1943-1944-1945.
Perché dico questo?
In via Romei, tanto per fare un esempio, c’è una lapide che ricorda i profughi giuliano-dalmati, ma dal testo nessuno capirebbe che fu la “pulizia etnica” – come disse Giorgio Napolitano – voluta dal comunista Tito a cacciare da quelle terre i nostri connazionali.
Proseguendo, da anni è noto che Luciano Chiappini, intellettuale e “cattolico di sinistra” combattè con la divisa della R.S.I. A tutt’oggi, però, non si sa in quale reparto e con quale grado vestì l’uniforme di Salò. Né si sa perché finì nel campo di prigionia di Coltano, con gli “irriducibili”.
E Igino Ghisellini, da chi fu ucciso? Spero Ghedini, grande combattente e sindaco di Ferrara, ha scritto “apertis verbis” nel suo libro “Uno dei centoventimila” che fu “fatto fuori” dai partigiani, rivendicando alla Resistenza il merito di tale azione.
Ma la Resistenza “ufficiale” ha sempre smentito. Perché?
E Angelo Menegatti, esponente socialista del C.L.N. di Migliarino, da chi fu ucciso dopo la guerra? Se poi parliamo dell’Ing. Stefani, cattolico moderato, in ambienti democristiani più d’uno nutriva dubbi sul fatto che fosse stato ucciso dai fascisti, considerando come uscì dal suo studio nonchè come (e soprattutto dove) fu ritrovato il suo cadavere.
Ora il carcere di Ferrara viene intitolato a Costantino Satta, ma nessuno ha avuto il coraggio di scrivere che il povero maresciallo fu ucciso da una banda di partigiani che voleva (a guerra finita: 8 giugno 1945!) prelevare dal carcere – e uccidere -i detenuti “repubblichini”.
Basterebbe leggere quanto scritto e ben documentato su “Le Due Città” – pubblicazione del Ministero della Giustizia – per rendersi conto di come andarono le cose. E per sapere che, in quanto ucciso dai partigiani – il povero Satta lasciò una famiglia nella miseria più nera e solo dopo lunghissimi anni la vedova potè ottenere la pensione.
Per questo da un lato sono contento che il carcere cittadino sia stato intitolato a Satta, ma dall’altro mi chiedo per quanti anni dovremo rimanere avvolti dal misterioso silenzio che circonda il sangue versato dal 1943 al 1945 nella nostra provincia.
Giorgio Fabbri