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24 Settembre 2016
Fino all'8 gennaio 2017 la mostra a Palazzo Fava

Bologna dopo Morandi 1945-2015

di Redazione | 5 min

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Si è aperta fino all’8 gennaio 2017 a Palazzo Fava la mostra Bologna dopo Morandi 1945 – 2015, curata da Renato Barilli e organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei della città.

A due anni di distanza dal successo della mostra Da Cimabue a Morandi, che passava in rassegna sette secoli di arte a Bologna, partendo da Cimabue fino ad arrivare ai tempi di Morandi, il critico e storico dell’arte Renato Barilli riparte da lì per andare oltre ed esaminare quanto è avvenuto nell’ultimo mezzo secolo di arte bolognese, il periodo che va dal 1945 fino al 2015.

Il lungo percorso della mostra che tocca settant’anni di arte bolognese, viene articolato in “stazioni”, dodici di numero, che cercano di conciliare la partecipazione bolognese ai grandi fenomeni nazionali e internazionali avvenuti al di fuori delle  mura di Bologna con le modalità dei vari artisti.

Tra queste “stazioni” ne incontriamo una iniziale, dell’immediato dopoguerra, in cui anche a Bologna giungono i fermenti di una situazione ufficiale, allora consistente nel cosiddetto postcubismo, cui si adeguano artisti peraltro già all’opera negli anni precedenti, tra di loro particolarmente notevole lo scultore Luciano Minguzzi.

L’episodio culminante di questa fase si trova nei dipinti di Sergio Romiti, in cui allora si vide l’erede delle nature morte morandiane, ma divenute fredde, metalliche, scintillanti di cromature per l’impatto esercitato dai nuovi sistemi di produzione sui tradizionali oggetti domestici.

Il postcubismo, eredità degli anni Trenta, venne presto scavalcato dall’impetuosa ondata dell’Informale, corrispondente, sul fronte esterno, a tragici eventi come lo scoppio della bomba atomoca. Bologna entra in sintonia con questo clima avanzato e davvero “esplosivo” per merito del critico più influente in quegli anni, Francesco Arcangeli, combattuto da l’ eredità che gli veniva dai padri putativi Roberto Longhi e Giorgio Morandi, e dalla loro lezione a favore di una natura avvertita come fonte di un ben calibrato equilibrio, e invece l’intuizione che quella frontiera era ormai da considerarsi “ultima”, come da titolo di un suo famoso saggio, insufficiente da superare, fino a confluire nell’incalzante ondata dell’Informale. Arcangeli sosteneva questa sua predicazione a favore di un Ultimo naturalismo collegandosi a tre protagonisti fuori dalla città felsinea, gli unici ammessi alla mostra di Palazzo Fava, proprio in ragione dell’importanza che hanno avuto nella sua concezione: Ennio Morlotti, Mattia Moreni, del resto riportabili in qualche modo a una accezione di naturalismo, e invece entrava la figura di Pompilio Mandelli.

Oltre a collegarsi a questi suoi coetanei, Arcangeli puntava anche su quattro bolognesi più giovani di una generazione, Vasco Bendini, Giuseppe Ferrari, Bruno Pulga, Sergio Vacchi, in pieno nella situazione destinata a dominare per intero i tardi anni Cinquanta. Molti altri sono i comprimari di una simile situazione passati in rassegna con attenzione dal curatore della mostra. Ma al termine di quel decennio si sentì il bisogno di uscir fuori da un ambito troppo concentrato su se stesso, conveniva cioè tentare di stabilire nuove “possibilità di relazioni”. A questo programma aderì prontamente il giovane Concetto Pozzati. Prima però di seguire questa svolta decisiva, la mostra rende omaggio a figure più o meno isolate quali Pirro Cuniberti, Mario Nanni, Lucio Saffaro, Volfango. Il filo conduttore delle “possibilità di relazione” conduce fino all’apparire, anche nella città di Bologna, di “tracce di Pop Art”, come titola la quinta “stazione”, con cui  si lascia il piano nobile del Fava salendo al secondo piano, dove si è accolti da un “murale” in cui proprio Pozzati offre una persuasiva campionatura di tutte le possibilità di aderire agli oggetti del consumismo forniti dalla “civiltà di massa” frattanto maturata.

Gli sono a fianco opere affini forniti da Carlo Gajani e dall’allora giovanissimo Piero Manai, che però a un certo punto ha praticato un totale capovolgimento, da immagini limpide a incubi notturni, una strada lungo la quale si è venuta a trovare un accordo con i passi ulteriori quali da tempo stava compiendo, trasferitosi a Roma, uno degli eroi dell’Ultimo naturalismo arcangeliano, Sergio Vacchi, anche lui, in definitiva, alla ricerca di “possibilità di relazione”, rintracciate però nell’immenso patrimonio di personaggi dell’attualità, e quindi non estranei a un carattere pop, che venivano squadernati dai rotocalchi, dai mass media in generale, ma che Vacchi riprendeva proprio come un sogno notturno.

Anche un altro dei testimoni dell’Ultimo naturalismo arcangeliano, Vasco Bendini, sentì il bisogno di cambiare discorso, rivolgendosi pure lui a suggestioni nordamericane, però non di specie Pop, bensì New Dada, accogliendone l’incitamento a fare grande e in chiave spettacolare, ricorrendo a delle sorte di happening e di performances, realizzati in un austero palazzo manierista, il Bentivoglio, e dunque la tappa dedicata allo Studio Bentivoglio può essere considerata tra le più significative dell’intero percorso, perché oltre ad attestare lo straordinario svolgimento di Bendini, poi però rientrato nei suoi panni di pittore, vi ha svolto le prime mosse Pier Paolo Calzolari, destinato a confluire nel movimento dell’Arte povera. Un altro emergente dallo Studio Bentivoglio è Luigi Ontani, che però, a differenza di Calzolari, opera un tipico rovesciamento dal “povero” al “ricco”, pratica cioè un’arte che invece di insistere nel testimoniare il “qui e ora”, preferisce l’”alibi”, cioè l’altrove, andare a rivisitare il museo, oppure luoghi extraoccidentali.

A questo modo Ontani detta il criterio di fondo cui si ispira l’intera seconda metà dei Settanta e oltre, intitolata anche al postmoderno, alla citazione, alla “ripetizione differente”. Infatti dietro di lui, si raccoglie il gruppo dei Nuovi-nuovi, reclutato dal curatore della presente mostra, con la collaborazione di due critici valenti come Francesca Alinovi e Roberto Daolio.

I Nuovi-nuovi, che in ambito bolognese sono Bruno Benuzzi, Marcello Jori  Giorgio Zucchini, partecipano al fervido clima di quegli anni in fiera gara emulativa con Anacronistici e Transavanguisti. La mostra riesce ad accordare una ridotta ma significativa presenza a Nino Migliori, tra i più intraprendenti sperimentatori di quanto si può ricavare da usi eterodossi della fotografia. Infine un altro episodio decisivo di questa storia felsinea si ha attorno alla figura di Andrea Pazienza, studente del Dams, partecipe alle contestazioni del ’77. Un po’ di quella violenza, seppure filtrata e pacificata, è entrata nei suoi fumetti, tracciati con enorme varietà di stili, trascinandosi dietro le presenze ugualmente dinamiche e inventive di Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort, Lorenzo Mattoti.

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