Lettere al Direttore
1 Settembre 2016

Il ‘mostro’ fuori dal carcere. Colpe sotto l’ombrellone

di Redazione | 6 min

Quest’ estate, mi è capitato di imbattermi in un intervento del Dott. Bruno Tinti ex magistrato, scrittore, giornalista e collaboratore fisso de “Il Fatto Quotidiano” (azionista del medesimo quotidiano), apparso sulla versione online del giornale.

Nell’articolo del 23 agosto, riportato nella rubrica “giustamente”, che Tinti gestisce autonomamente, si parlava della vicenda del cittadino indiano accusato (forse più dai media e dai soliti salviniani “ruspanti” e dintorni) di aver tentato di rapire una bambina a Ragusa, in presenza dei genitori.

In sostanza il Dott. Tinti spiegava, tra le righe del suo qualificato (sotto il profilo squisitamente tecnico) articolo, le reali ragioni per le quali il cittadino indiano non fosse finito in carcere, individuando espressamente i “colpevoli” di tale abominio giudiziario

Secondo il Dott. Tinti, il motivo per il quale il gip di Ragusa non ha potuto procedere all’applicazione della misura cautelare in carcere per il “mostro” consiste nella presenza della legge c.d. “svuota carcere” del 2013 che ha stabilito come la misura cautelare in carcere debba trovare applicazione in casi di reati che prevedano un limite di pena massimo non inferiore a cinque anni.

Il Dott. Tinti è certo di aver trovato il colpevole! chi altri se non la legge del 2013 e chi l’ha votata? (volendo sgombrare il campo da eventuali equivoci) lungi da me prendere posizioni difensive nei confronti di Gasparri & co.

Sul fatto, il Dott. Tinti, dall’alto della sua qualificata esperienza, non ha dubbi

Egli, scrive infatti: “con la precedente legge Lubyata avrebbe potuto finire in galera; oggi no”.

L’ex magistrato e scrittore, prosegue poi nel tentativo di spiegare ai suoi lettori come il problema del sovraffollamento delle carceri (per il quale l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Giustizia Europea) si sarebbe potuto risolvere costruendo più penitenziari, anziché evitando di incarcerare i delinquenti.

Anche in questo caso il Dott. Tinti, è fermamente convinto della sua posizione, ovvero che in carcere ci finiscono solo i delinquenti.

Ma chi sono per il Dott. Tinti i delinquenti?

Probabilmente tutti quelli che finiscono in carcere, compresi quelli che sono in attesa di giudizio (molti dei quali magari verranno assolti) e quelli per errori giudiziari (errori commessi non dagli avvocati, ma da taluni ex colleghi del Dott. Tinti).

Tutto ciò – senza scomodare trattati europei e la Convenzione dei Diritti dell’Uomo – con buona pace della Costituzione Italiana (quella che per il Fatto Quotidiano, cioè il giornale di cui il Dott. Tinti è azionista, sarebbe la Costituzione più bella del mondo) che all’art. 27 stabilisce che nessuno può ritenersi colpevole fino a sentenza di condanna divenuta definitiva.

Fino a quel momento non si è colpevoli quindi, neanche delinquenti.

Ma torniamo al ragionamento del Dott. Tinti – di cui tutti i fortunati lettori del “Fatto” possono beneficiare – per capire perché oggi per colpa della sciagurata legge denominata “svuota carcere” il delinquente indiano non sia potuto finire in carcere come avrebbe certamente meritato (a parere di un’ignara e disinformata opinione pubblica).

Per stessa affermazione dell’autorevole ex magistrato (è quanto scritto nel suo articolo), il reato contestato al “mostro” è quello del tentato sequestro di persona, per il quale è prevista una pena nel massimo a 4 anni di reclusione.

Dunque, la c.d. svuota carcere ha innalzato il limite a 5 anni, non ci sono dubbi!

Infatti, l’art. 280 del codice di procedura penale preso ad esempio dall’autore dell’articolo, modificato da questa “infame” legge, al secondo comma stabilisce che la misura cautelare in carcere può essere applicata solo in presenza di reati con pena non inferiore nel massimo a cinque anni.

Ebbene, volendo tralasciare alcune inesattezze che caratterizzano l’articolo del Dott. Tinti, quali l’uso di “reclusione” al posto di “misura cautelare”, i conti non tornano.

Il Dott. Tinti saprà certamente che nella vicenda della quale ci stiamo occupando, a non essere convalidato è stato il “fermo di indiziato di delitto” (almeno così risulta dallo stesso articolo a sua firma).

Il “fermo di indiziato di delitto” è disciplinato dall’art. 384 codice di procedura penale.

Il Dott. Tinti, sarà sicuramente a conoscenza del fatto che il “fermo di indiziato di delitto” è definita “misura precautelare” e precede la “misura cautelare” (che può essere anche una diversa da quella del carcere) e trova applicazione in determinati casi.

In particolare, devono ricorrere reali e fondati motivi di pericolo di fuga ed un reato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni.

In assenza di tali elementi il fermo non può essere disposto.

La conseguenza di tutto ciò, è che in caso di mancata disposizione del fermo, nessuna misura cautelare può essere applicata, come recita l’art. 389 codice di procedura penale, che nulla a che vedere con la legge del 2013.

Quindi la vera ragione tecnica-giuridica del mancato arresto del presunto colpevole (quindi non ancora delinquente), va ricercata negli articoli 384 – che disciplina i casi di fermo di indiziato di delitto e 389, articoli che non sono stati minimamente sfiorato dalla c.d. “svuota carcere” (ma neanche dall’intervento tecnico del Dott. Tinti) e non nell’art. 280.

In altre parole, anche in assenza della c.d. “svuota carcere”, il soggetto accusato non sarebbe potuto finire in galera, perché il gip nel rispetto dell’art. 384 codice di procedura penale non avrebbe potuto convalidare il fermo, come impone l’art. 389 del codice di procedura penale.

Il reato di tentato sequestro di persona ha un limite di pena che non supera i 4 anni, mentre per il fermo il limite massimo di pena non deve essere, come abbiamo visto, inferiore a sei anni.

Dunque, in tutta questa vicenda gli interventi legislativi definiti “svuota carceri”, non c’entrano un bel niente.

E se così è, la spiegazione tecnica del Dott. Tinti sulle ragioni del mancato arresto del cittadino indiano non corrisponde al vero.

Non posso pensare che queste nozioni siano state dimenticate dall’ormai ex magistrato Bruno Tinti.

Come non posso concepire che il Dott. Tinti abbia dimenticato che nel nostro ordinamento la misura cautelare in carcere è l’estrema ratio, essendone previste altre.

Eppure, nel suo articolo si parlava solo di misura cautelare in carcere.

E non posso neanche credere che il Dott. Tinti non sappia che la normativa “svuota carcere” del 2013, impedisce entro i limiti di pena solo l’applicazione della misura cautelare in carcere, mentre rimangono consentite tutte le altre misure.

Eppure leggendo il suo articolo sembra che non ci siano soluzioni alternative al carcere.

Posso, però, supporre che quanto sino ad ora detto, sia ignoto ai più che si cibano quotidianamente del “Fatto” di Travaglio e Tinti ma anche a quelli che lo fanno saltuariamente sotto l’ombrellone, nella convinzione di trovarvi i veri paladini della giustizia, della costituzione e dei cittadini.

Avv. Pasquale Longobucco Mgtm – Avvocati associati

Ferrara

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