Economia e Lavoro
26 Agosto 2016
Offerta in arrivo per Banca Marche e Banca Etruria, ma Carife rimane lontana dai riflettori. Sempre più probabile un nuovo intervento del Fidt

Carife e le cattive notizie che sembrano buone

di Ruggero Veronese | 4 min

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carifeQualcosa si muove nel mondo delle banche, ma non nel verso giusto per Carife. Ieri pomeriggio il cda del gruppo Bper si è radunato per ufficializzare un’offerta da circa 300 milioni di euro per Banca Etruria e Banca Marche, i due istituti ricapitalizzati nel novembre scorso insieme a Carife e Carichieti. La notizia viene letta positivamente dai principali quotidiani economici, in un’ottica di sistema: dopo il completo flop del tentativo di vendita in blocco delle quattro banche (con le offerte dei fondi Lone Star e Apollo ferme a circa 400 milioni di euro), il ‘piano b’ di Roberto Nicastro e del Fondo di Risoluzione sembra dare i frutti sperati e i principali gruppi bancari italiani sono tornati a mostrare interesse nell’operazione. La mossa appena ufficializzata da Bper, inoltre, potrebbe spingere anche altri gruppi rimasti nell’ombra a uscire definitivamente allo scoperto per Carife e Carichieti.

L’ottimismo deve però fare i conti con due dati di fatto, almeno per quanto riguarda l’istituto ferrarese. Innanzitutto perché il gruppo bancario che le indiscrezioni finanziarie indicano più vicino a Carife, Ubi Banca, nei giorni scorsi ha smentito ogni interesse immediato nell’acquisizione. Ma soprattutto perché la cifra messa sul tavolo da Bper per Banca Etruria e Banca Marche  non rappresenta affatto un passo in avanti rispetto alla precedente offerta complessiva dai fondi Apollo e Lone Star. E, di conseguenza, anche le eventuali proposte economiche per Carife e Carichieti potrebbero rivelarsi di gran lunga inferiori alle aspettative.

Per rendersene conto basta osservare le cifre in ballo: dopo la scissione dalle ‘bad bank’ che hanno conservato i crediti in sofferenza, le quattro nuove banche sono state ricapitalizzate per 1,9 miliardi di euro attraverso un maxi prestito da 18 mesi da parte di Banca Intesa, Unicredit e Ubi Banca. Di questi 1,9 miliardi, circa i tre quarti sono però confluiti in Banca Marche e Banca Etruria, ricapitalizzate con rispettivamente 1,041 e 0,442 miliardi. Nel novembre scorso il valore delle due banche che oggi Unicredit valuta 300 milioni era quindi pari a 1,5 miliardi: il quintuplo rispetto alla stima attuale. Se anche le offerte per Carife e Carichieti dovessero rispettare questa proporzione, i due istituti rischierebbero di essere venduti a prezzo di saldo: dopo una valutazione iniziale pari rispettivamente a 191 e 141 milioni di euro, oggi le stime potrebbero assestarsi attorno ai 38 (Carife) e 28 (Carichieti) milioni di euro.

A complicare ulteriormente le trattative ci sono altri due fattori. Il primo è rappresentato dalle tempistiche: il Fondo di Risoluzione si deve liberare della proprietà delle banche entro il 30 settembre per non far incorrere l’Italia nelle sanzioni europee sugli aiuti di Stato. L’urgenza del venditore mette quindi ogni possibile acquirente in una posizione di forza nella trattativa. Il secondo deriva dal fallimento dell’operazione di cessione accorpata dei quattro istituti: i soli 400 milioni offerti da Apollo e Lone Star hanno sortito un effetto devastante sul valore di mercato del prodotto e, oggi, ogni soggetto interessato può partire dalla consapevolezza che basta un piccolo salto per superare l’asticella fissata dai fondi.

In questa prospettiva si fa sempre più probabile un ritorno di Carife all’ovile, e cioè a quel Fondo Interbancario di Tutela Depositi (Fidt) che già alla fine del luglio 2015 aveva deliberato il salvataggio della banca ferrarese (con modalità bocciate dalla Ue perché considerate aiuto di Stato). Il sistema bancario italiano, in sostanza, potrebbe avere più interesse nell’impedire un’ulteriore svalutazione degli istituti italiani piuttosto che nel raccogliere qualche decina di milioni di euro in più dalla svendita di Carife. Questo perché, anche nella migliore delle ipotesi, la vendita delle quattro banche non riuscirà a coprire nemmeno lontanamente il prestito da 1,9 miliardi da parte di Banca Intesa, Unicredit e Ubi Banca. Il sistema nel suo complesso è quindi già ben conscio di dover versare circa un miliardo e mezzo per ripianare l’operazione. Di fronte a questo fallimento di una soluzione di mercato, non è quindi escluso che alcuni istituti decidano di fare uno sforzo in più rilevando direttamente Carife attraverso lo schema volontario del Fidt, in modo analogo a quanto successo in giugno con la Cassa di Risparmio di Cesena: operazione che ha comportato il salvataggio della banca, ma al prezzo della chiusura di una ventina di filiali e del prepensionamento di quasi un centinaio (su un migliaio circa) di dipendenti.

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