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8 Agosto 2016
La mostra si potrà ammirare fino al 18 settembre a Villa Bardini (Firenze)

Doppio ritratto–Antonio e Xavier Bueno, Contrappunti alla realtà tra avanguardia e figurazione

di Redazione | 5 min

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Fino al 18 settembre si potrà ammirare a Villa Bardini (Firenze), sede della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, la mostra intitolata “Doppio ritratto – Antonio e Xavier Bueno, Contrappunti alla realtà tra avanguardia e figurazione” a cura di Stefano Sbarbaro.

La mostra, un’intera parabola artistica dei due fratelli Bueno, in parallelo e in un unico percorso espositivo, è promossa dalla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze in collaborazione con l’Associazione Culturale Bueno.

L’esposizione raccoglie oltre 130 opere tra le più significative della produzione dei due pittori di origine spagnola. Il nucleo più consistente è rappresentato da quelle concesse dagli eredi a cui si sommano i prestiti provenienti da importanti realtà museali, da prestigiose fondazioni e da collezioni private con diversi inediti.

Con questo progetto si intende celebrare e ripercorrere la vicenda creativa e umana di due complesse personalità votate alla più autentica pratica pittorica che con originalità ebbero modo di avvicinarsi al vivace ambiente culturale fiorentino a partire degli anni Quaranta, guadagnandosi in un lungo e tormentato percorso di crescita e adattamento stilistico, un ruolo da protagonisti nel panorama artistico italiano del secondo Novecento. Sullo sfondo dei profondi cambiamenti culturali nei vivaci anni del dopoguerra, segnati dall’antinomia avanguardia e figurazione. L’indagine intende per la prima volta approfondire la simbiosi esistenziale tra i due fratelli mettendone in luce, da una parte i punti di tangenza nel delicato meccanismo dei reciproci condizionamenti e scambi di influenze, specie negli anni della formazione, e dall’altra le fasi del distacco e dell’affrancamento individuale che portarono alle rispettive maturità stilistiche.

I fratelli Xavier (1915-1979) e Antonio Bueno (1918-1984) giunsero in Italia nei difficili anni della guerra dopo un’infanzia trascorsa a Berlino, Ginevra e Parigi al seguito del padre giornalista, e arrivarono a Firenze nel 1940, motivati dallo studio della straordinaria eredità artistica rinascimentale della città. Ma quello che avrebbe dovuto essere un soggiorno breve e temporaneo si trasformò, per entrambi, in un’esperienza di vita definitiva e totalizzante perché nel capoluogo toscano trascorsero il resto della loro vita.

Xavier Bueno nacque a Vera de Bidasoa il 16 gennaio 1915, figlio dello scrittore e giornalista Javier Bueno (1883-1967), allora corrispondente a Berlino del quotidiano ABC di Madrid, padre di Caterina Bueno. Trascorse parte dell’infanzia in Spagna dove frequentò l’Accadamia di San Ferdinando a Madrid con Velasquez Diaz, ma nel 1925 si trasferì con la famiglia a Ginevra dove si iscrisse, dopo aver frequentato il liceo, all’Accademia di Belle Arti.

Nel 1937 si trasferì a Parigi e presentò le sue opere, caratterizzate da una forte impronta di realismo “spagnolo”, al “Salon des Tuileries”, al “Salon d’Automne”, al Salon des Indépendants” e al “Salon d’Art Mural”; inoltre espose al Padiglione Spagnolo della Mostra Universale di New York.

Nel gennaio del 1940 si trasferì in Italia, dove si unì al fratello Antonio, a Pietro Anigoni e Gregorio Sciltian nel gruppo dei “Pittori Moderni della Realtà”.

L’esperienza della guerra civile spagnola prima e di quella italiana poi, indirizzò sempre più l’artista verso un realismo legato a motivi di forte contenuto sociale.

Alla fine degli anni quaranta, in concomitanza con la crisi del gruppo, i rapporti fra Xavier e il fratello Antonio cominciano a mutare, dopo anni di percorso in comune. Le cause sono da ricercarsi nella progressiva diversificazione delle loro rispettive personalità artistiche: specialmente per Antonio, il minore dei due, parve vitalmente necessaria una rivendicazione d’indipendenza dal fratello ex maestro d’arte e detentore di un’autorità (vera o presunta). Si trattava tuttavia di un dissenso più stilistico-concettuale che non umano-personale.

Dopo la separazione, la collaborazione tra i due andò man mano esaurendosi. Ci fu tempo solo per un’ultima mostra comune, tenutasi nel 1952 alla galleria fiorentina di “Numero”; serviranno, ancora, sedici anni perché esponessero di nuovo insieme.

Emblematico è il ricordo di Xavier tracciato dal poeta salvatore Quasimodo: “Un’attenzione particolare meritano le nature morte di Bueno sollevate nello spazio senza fondo, in cui gli spessori sono creati dal ritmo degli oggetti, sottratti ad una assenza metafisica”.

Tra il 1959 e il 1964 Xavier creò il ciclo dei “Bambini”, immagini sofferenti e malinconiche opere simboliche di un’umanità avvilita ed oppressa, che l’artista presentò alla rassegna “España libre”.

Da allora la sua ricerca approfondì questa direttrice, proponendo le sue caratteristiche immagini di teneri volti ed acerbi corpi adolescenti.

Il 17 luglio 1979 morì nella sua Fiesole.

Antonio Bueno  (Berlino, 21 luglio 1918 – Fiesole, 26 settembre 1984) svolse gli studi artistici in Spagna e Svizzera. Nel 1937 fu a Parigi, dove espose al Salon des Jeunes; poi nel 1940 col fratello Xavier, si trasferì in Italia. Dopo un’esperienza post-impressionista, nell’immediato dopoguerra aderì alla lezione di Gregorio Sciltan eseguendo opere trompe-l’oeil e, con Annigoni ed il fratello, partecipò al gruppo “Pittori moderni della Realtà”. Sperimentatore accanito ed irrequieto, dopo queste esperienze portò avanti numerose ricerche: pittore astratto (1950-53) in concomitanza al suo lavoro di segretario presso la rivista Numero; neometafisico con la serie di impronte (1960-62); segnaletico e pop a metà degli anni sessanta; neodada e pittore visivo. Nell’ecclettismo della produzione, restano noti al grande pubblico soprattutto le sue figure di busti e teste tondeggianti, ragazzi vestiti alla marinara, pompieri, reinterpretazioni di grande opere della storia dell’arte, con caratteristiche tondeggianti e semplificate, neoteniche, che ricordano l’opera di Ferdinando Botero.

Definitiva consacrazione di Bueno alla Biennale Di Venezia del 1984, giusto pochi mesi prima della sua morte, quando egli era già gravemente malato: alla mostra presentò una serie di opere che rappresentano senza dubbio il vertice di tutta la sua produzione della maturità.

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