Lettere al Direttore
27 Luglio 2016

Il voto amministrativo secondo Unità Riformista

di Redazione | 9 min

Ad un mese dalle votazioni amministrative, nuovi avvenimenti internazionali come la Brexit, il tentato golpe ed il contro golpe in Turchia, il terrorismo islamico in Francia e Germania, hanno inevitabilmente messo in secondo piano il dibattito politico italiano sui risultati del voto. E tuttavia, di questi risultati e delle indicazioni politiche che ne derivano, si dovrebbe poter parlare ancora, evitando la tentazione di “rimuovere” i segnali che l’elettorato ci ha lanciato. Come Area di Unità Riformista del PD di Ferrara, abbiamo espresso alcune valutazioni sull’esito del voto in un documento che qui sintetizziamo.

In premessa partiamo da due osservazioni oggettive che riteniamo difficilmente contestabili:

  1. a) il voto amministrativo del giugno 2016 ha assunto una forte rilevanza politica per quello che si è dimostrato essere, con tutta evidenza, un terremoto elettorale per il Partito Democratico e per il centrosinistra che senza dubbio appare lo sconfitto di queste elezioni.

Il Partito democratico ha perso rispetto alle precedenti elezioni oltre un milione di voti e nei comuni con più di 15.000 abitanti il centrosinistra ha perso quasi la metà dei comuni amministrati, passando da 99 a 54.

E, come dimostra il caso di Torino, questo risultato sembra essere indipendente da come si è governato localmente o dalla qualità dei programmi e dei nomi presentati.

  1. b) la seconda osservazione è che si sono persi voti a sinistra e non si è replicato quello sfondamento al centro che si era registrato alle europee. Si è ridotta la fidelizzazione dell’elettore di sinistra ed è aumentata la contendibilità del voto a vantaggio del Movimento 5 stelle.

E questo è avvenuto proprio nelle cosiddette regioni “rosse” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche), laddove il comportamento elettorale avrebbe dovuto essere più stabile e l’esito delle elezioni meno incerto.

Perché questi risultati? E perché pezzi così significativi dello “zoccolo duro” della nostra base elettorale ci hanno abbandonato?

In sintesi queste sono le nostre valutazioni:

l’esito del voto amministrativo, in particolare dopo i ballottaggi, si è caratterizzato come un voto pesantemente influenzato dal giudizio sul governo nazionale e sul premier ed ha “contagiato” il livello locale soprattutto nei ballottaggi.

Da questo punto di vista avere aperto la campagna referendaria sulla riforma costituzionale nel corso delle amministrative si è dimostrato un grave errore politico. Ha coalizzato anticipatamente contro il PD anche tutti coloro che, a sinistra o al centro, nutrono dubbi o si oppongono alle riforme elettorali e costituzionali.

Il PD ha perso attrattività ed elasticità di voto, ma questa è anche la conseguenza di una perdita di identità.

Nella sua ansia di coniugare cambiamento, rapidità di decisione e capacità di governo, aprendo anche ad “innaturali” alleanze (Verdini), il PD ha smarrito la propria identità sociale.

Una parte crescente dell’elettorato costituito dai ceti più deboli e dal ceto medio impoverito, stenta a riconoscersi in questo Partito e affida all’astensione o al voto al movimento 5S la propria delusione o la propria protesta.

D’altra parte il centro-destra ha dimostrato a Milano (ma di fatto è successo anche a Cento) che quando trova un leader credibile incontra ancora un ampio spazio politico moderato che non si lascia sedurre dal vento del “populismo leghista”. E nel confronto con uno schieramento tradizionale di centro destra come a Milano o a Bologna, il convinto sostegno di buona parte della sinistra ad un candidato PD (anche se di impostazione “moderata” come Sala), ha fatto la differenza nei risultati.

Lo spazio politico a sinistra tende ormai ad essere occupato dal M5S piuttosto che da altre formazioni politiche a sinistra del PD. Il M5S è stato votato non solo per protesta ma anche come apertura di credito per l’attuazione di politiche gradite ad ampi settori dell’elettorato di sinistra: ad una sinistra di ispirazione ambientalista, a quella dei centri sociali e delle periferie, ma anche alla sinistra sindacalizzata delle fabbriche e della scuola.

Soprattutto quando il M5S presenta volti nuovi in grado di affrancarsi, apparentemente, dal controllo di Grillo e della Casaleggio Associati, come a Torino.

Ha pesato nel voto la crescente distanza tra il “racconto delle riforme”, con la promessa di cambiamento immediato che si portavano dentro, e la “realtà del paese”, con la durezza di una crisi da cui non si intravvede ancora la via d’uscita. Due anni di riforme sono servite forse per accreditare il governo italiano ai tavoli europei (abbiamo fatto i “compiti a casa” che ci chiedeva la Germania), ma è ormai evidente che non hanno ancora contribuito a risolvere i problemi della mancata crescita.

E, come ha rilevato Prodi, “senza Politiche”, anche nuovi politici non durano più di due anni.

Nel paese reale è aumentato, soprattutto per i ceti più deboli, il senso di ingiustizia e di insicurezza, sia economica che sociale:

o             La spending review che si è declinata in tagli a welfare e sanità con milioni di cittadini che rinunciano alle cure mediche o si trovano di fronte ad aumenti di spesa di tasca propria (per i tempi di attesa e le carenze del sistema sanitario). Generando la sensazione diffusa di una riduzione del diritto universale alla salute.

o             La riforma del lavoro ha prodotto risultati occupazionali, (soprattutto grazie agli sgravi contributivi per le imprese), ma è stata letta come un indebolimento della forza contrattuale dei lavoratori e delle sue organizzazioni sindacali.

o             La politica economica orientata principalmente a stimolare i consumi e quindi la crescita della domanda attraverso la riduzione della pressione fiscale si è rivelata inefficace ai fini di una vera crescita. Sono ancora largamente insufficienti quegli investimenti pubblici locali che avrebbero potuto stimolare domanda e occupazione, trainando investimenti privati soprattutto delle piccole e medie aziende non orientate all’export.

o             Nel Paese è aumentata l’insicurezza sociale generata dal fenomeno fuori controllo dell’immigrazione clandestina e l’ansia e l’incertezza sul futuro delle pensioni per le nuove generazioni e per chi si è visto allontanare il momento della  pensione;

o             E ancora, si è aggiunta di recente l’insicurezza dei risparmiatori dopo la sciagurata adozione del bail-in e la mancata messa in sicurezza del sistema bancario italiano.

Il partito sotto il profilo organizzativo si è ulteriormente indebolito a livello territoriale con perdita d’iscritti, chiusura di circoli. I nuovi gruppi dirigenti locali anche se rinnovati, anzi soprattutto se rinnovati, non sempre sono riusciti a diventare interlocutori credibili delle forze sociali ed economiche del territorio e della società civile. Sono proliferate le liste civiche.

La discussione sulla riforma del Partito non è ancora approdata a nulla come ha rilevato anche Fabrizio Barca dimettendosi dalla Commissione per la riforma del partito.

Le ricadute del voto amministrativo sulla riforma elettorale

L’esito dei ballottaggi ha reso evidente l’incertezza dei risultati elettorali, alimentando nuovi dubbi sulla effettiva efficacia della riforma “Italicum” ai fini della “governabilità” del paese.

Il meccanismo elettorale del “ballottaggio”, pensato per semplificare il sistema politico in uno schema tripolare, favorisce con evidenza le coalizioni “contro”. Vedi il caso Torino: non importa come si è governato in quella città. Il ballottaggio ci fa comunque perdere quando gli elettori si coalizzano “contro”, indipendentemente dai programmi presentati.

LA RIFORMA ELETTORALE “ITALICUM” E RIFORMA COSTITUZIONALE

La riforma elettorale è stata concepita in un quadro bipolare, come la declinazione sul piano nazionale del sistema elettorale che porta all’elezione dei sindaci, per assicurare certezza di governabilità (alla sera delle elezioni) e stabilità politica per una legislatura intera.  Una riforma d’impronta chiaramente presidenzialista dove il Premier decide e governa come fosse “il sindaco d’Italia”, con la “sua” squadra di governo. Con una divisione dei poteri tra legislativo ed esecutivo che vira inevitabilmente a favore dell’esecutivo soprattutto quando il premier è anche segretario del partito e decide le liste elettorali.

La riforma elettorale è passata al Senato ed alla Camera con l’opposizione di una parte della minoranza PD. I dubbi sugli effetti perversi di questa legge, cominciano a farsi strada anche in altre aree del partito oltre che nelle forze minori che sostengono il Governo.

Ma la preoccupazione maggiore della minoranza del partito come quella di autorevoli costituzionalisti è nell’effetto combinato con la riforma costituzionale.  Ed è in questo contesto e con questo spirito che la minoranza PD ha appena presentato una proposta di modifica della legge elettorale che cerca di recuperare un maggior ruolo dei cittadini nella elezione dei propri rappresentanti.

Comunque vada, tutte le proposte di modifica dell’Italicum vengono suggerite e proposte per un passaggio parlamentare successivo al confronto referendario.

Dando per scontato l’esito positivo del referendum di approvazione della riforma costituzionale.

Un serio esame di realtà imporrebbe di considerare che l’esito referendario appare quanto mai incerto. Gli indecisi sono ancora maggioranza, ma sembra prevalere a sinistra un sentimento di “istintiva sfiducia” verso proposte di cambiamento della Costituzione che viene vissuta (a torto o a ragione) come la radice profonda dell’identità sociale smarrita del centro-sinistra.

Inoltre una campagna referendaria avviata con i toni da “fine del mondo”, rischia di allargare ulteriormente il solco tra il Partito democratico ed una parte significativa dell’elettorato di sinistra e di parti della società civile che si orientano per il NO.

Occorrerebbe avviare processi unitari nel partito e aprire un confronto più sereno anche con quelle le forze della società che hanno espresso dubbi e preoccupazioni, anche nell’ambito delle feste dell’Unità.

Gioverebbe poi allo stesso rafforzamento delle posizioni del SI al referendum, poter rassicurare tutto il partito che la legge elettorale sarà modificata in senso meno presidenzialista e gioverebbe a questo scopo anche l’impegno ad una separazione delle cariche di segretario da quelle di premier.

Il voto amministrativo in Provincia di Ferrara e situazione politica locale

In provincia di Ferrara il test elettorale ha riguardato 7 comuni,  tutti amministrati in precedenza dal centrosinistra.

Il risultato è noto: abbiamo vinto al primo turno in 5 Comuni, ma abbiamo perso contro liste civiche o di centro-destra a Tresigallo e a Cento (comune in cui non siamo entrati nemmeno in ballottaggio); abbiamo vinto di misura a Codigoro contro una lista M5S.

Pur nelle differenze di risultato derivanti dai diversi equilibri politici di ciascun Comune il Partito democratico ha perso voti in tutti i comuni in cui si è votato e dovunque si è ridotto il numero dei votanti. Abbiamo perso di più dove più si è indebolito il collante politico che teneva insieme le varie liste che formavano il centrosinistra.

Nella valutazione sul voto a Ferrara si devono probabilmente sommare gli effetti dei trend nazionali che abbiamo analizzato sopra, con considerazioni e problematiche locali. Ma probabilmente hanno pesato anche i primi effetti dello scossone Carife, che ha contribuito ad allontanare parte dei nostri elettori.

Anche a Ferrara non si sta discutendo abbastanza delle conseguenze politiche di questi risultati elettorali. Ed è preoccupante, per un partito di governo come il PD, quando in alcune realtà si cominciano a manifestare segnali di rottura del rapporto con le proprie comunità e con le sue articolazioni sociali ed economiche.

I risultati del voto amministrativo ci dicono quanto sia urgente ridefinire l’iniziativa politica del partito, partendo da una chiara visione dei valori e dei soggetti sociali rappresentati. Riteniamo sia prioritario inoltre recuperare il valore della nostra identità sociale e della nostra capacità di ascolto.

Per il coordinamento esecutivo

dell’Area di Unità Riformista

Massimo Buriani

(Delegato Assemblea Nazionale PD)

 

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