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26 Luglio 2016

I 50 anni del Teatro Povero di Monticchiello

di Redazione | 5 min

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6baf39f7-3f9d-4cee-9b36-a2283623d55edi Maria Paola Forlani

Il Teatro Povero di Monticchiello è fra le più longeve esperienze di teatro di ricerca italiane e non ultimo per la “comunità” varia e affezionata di pubblico, amici, studiosi di teatro, antropologia, sociologia che ogni anno torna a partecipare a questo rito vitale, poetico e di ispirazione. Semplice e strabiliante è quello che accade dal 1967, in questo borgo medioevale della Val d’Orcia (Patrimonio UNESCO): un intero paese affronta la vita con il Teatro. Ogni estate va in scena uno spettacolo che è ideato e realizzato dai suoi abitanti, che, riflettendo su loro stessi, diventano specchio di quanto accade a tutti. Il momento dell’incontro col pubblico è il tentativo di creare un senso condiviso delle trasformazioni in corso, delle nuove sfide riavvolgendo ogni volta quel filo rosso che riporta alle origini culturali, sociali e umane di quest’esperienza. Tutto iniziò “dal basso”, in un piccolo centro senza un teatro e accadde mentre nel resto del mondo fervevano esperienze teatrali che dell’abbattimento del confine tra palcoscenico e vita avevano fatto il centro dell’indagine.

Come diceva Franco Patruno al convegno di Monticchiello su il “Teatro delle radici” del 1992 “…abitare una forma a cui inizialmente qualcuno ha dato un modello, e poi crescere insieme e andare, come dice Pareyson, verso la possibile riuscita, è una crescita personale e comunitaria. E quando parlo di crescita estetica, intendo proprio dire vivere una forma; in questo caso vivere e abitare una forma teatrale… Il contenuto non è l’argomento storico […], ma è l’idea che via via si formalizza sino al momento dell’epifania, della messa in scena. E il contenuto diventa “forma” nella quale voi abitate, diventa necessariamente un autodramma, in cui voi esprimete voi stessi e la vostra visione del mondo”.

02096cda-d19e-4dbb-a2e7-89132558d97dIl titolo di quest’anno racconta di una denuncia mai abbandonata, delle crescenti difficoltà per la sopravvivenza laddove il costante riferimento ai “numeri” ha segnato e segna un crescente abbandono del valore “umano” di chi vive realtà considerate insignificanti. Il filo conduttore dello spettacolo numero 50 si snoda e si sviluppa intorno al tema di un “assedio”.

Una notte di assedio, circondati di mura pericolanti e instabili, minacciati da oscuri crolli. Una notte insonne, di trepidazione, passata a confrontarsi sul da farsi e provando a rimanere saldi nei pensieri. Ma inevitabilmente aggrediti dal timore, dal bisogno di capire quel che davvero accade fuori e cosa è accaduto un tempo, prima che si arrivasse a questo punto. Una veglia inquieta, la “notte di attesa” del Teatro Povero, a cinquant’anni del primo spettacolo portato in piazza. Il nemico è dentro o è solo un pretesto per resistere, per darsi uno scopo e un progetto, un motivo per stare insieme? E la paura di disperdersi non nasconde forse anche il desiderio di partire, di vivere e reinventarsi, di incontrare l’altro e l’altrove, la possibilità? E se mai fosse: cosa sarà indispensabile portarsi dietro? A cosa non si vuol rinunciare?

Forse solo a quell’antica capacità di sentire la sofferenza, fosse anche muta. “Assedio” inteso solo apparentemente come assedio tradizionale, con un esercito fuori dalle mura e un popolo dentro le mura poiché il riferimento è alla complicata situazione che stiamo vivendo, all’impossibilità di vedere con chiarezza quello che accade fuori, a valutare gli accadimenti con lucidità.

efc3b35a-d048-43dd-8ec8-5bff24d2a252Si può anche ritenere, poi, che non ci sia un nemico e quindi nessun assedio e allora la percezione di un pericolo imminente trasforma la narrazione in visione dove la paura diventa l’unica entità da combattere. Per scoprire che ieri come oggi l’unica vera forza è trovare il modo di unirsi, raccogliersi, scontrarsi magari ma uscendo dalla solitudine, col teatro, ad esempio.

Le belle scenografie di Andrea Cresti, con le mura merlate, dalle cui finestrelle spuntano, in un dialogico gioco delle parti, gli attori assediati da “un dramma esistenziale” di ribellione concitata, come in un ‘fabulistico quadro di Gentilini”. Ad un certo punto dalla platea entra in scena una donna e dice la ballata dell’assedio.

Avete guardato davanti a voi senza paraocchi
e
vi siete accorti
quanto sia affascinante
il mondo globalizzato
e il vostro piccolo mondo.
Ricco di stimoli e d’incontri imprevisti
Gioiosi come un grande arcobaleno
Di vividi colori
Avete guardato davanti a voi, a lungo,
quando si è diradata la nebbia;
avete guardato senza paraocchi e senza pregiudizi
e
avete visto un mondo affascinante
per la bellezza delicata e aggressiva della natura
e avete detto grazie alla vostra piccola vita.
Ma poi
Guardando e riguardando
Vi siete accorti che l’ingordigia spregiudicata,
l’invidia, l’ipocrisia, l’indifferenza che offende
e molto altro ancora
sono capaci di spengere i colori
ed immergere il mondo in una notte d’inchiostro
come fosse un assedio senza scampo.
E allora non resta che ascoltare.

Ma la ‘catarsi’ di questo autodramma appare nella terza scena. Le mura cadono e così, anche, i merli, si sente il suono di un concerto di ottoni fortemente dissonante, la luce si fa surreale e una voce chiama i comandanti di un esercito immaginario e i comandanti sopraggiungono vestiti di tutto punto, con abiti sontuosi e fantastici. E sono tutti vecchi, molto vecchi e malmessi. Sono gli attori che hanno costruito la storia del teatro in quella piazza nei cinquant’anni di autodrammi trascorsi ed ora come icone riappaiono, per ravvivare la coralità della comunità ‘in attesa’, e dare forma al dramma con la “bellezza” .

Concludeva Franco Patruno nel suo intervento al convegno ‘Il Teatro delle Radici’ “…la crescita di una comunità, il vivere un’esperienza estetica è un fatto pedagogicamente ed artisticamente fondamentale.” Notte di Attesa, autodramma numero 50 ha aperto una finestra sull’universo umano: uno sguardo in più, fra tanti possibili, sulla sua ricchezza e complessità, sulla profondità del suo vissuto interiore e sulla difficile declinazione di quei legami che traducono l’amore nelle sue forme più varie.

Teatro Povero di Monticchiello (Pienza-Siena)

Piazza della Commenda

Autodramma 2016

NOTTE DI ATTESA

Fino al 14 agosto, ore 21,15 (escluso 1 agosto)

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