Eventi e cultura
24 Luglio 2016
E' appena uscito il terzo (e ultimo) volume di fumetti che ironizza i luoghi comuni dei ferraresi

E fanno 300. Mav dà l’addio a Veleno

di Elisa Fornasini | 4 min

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13775632_1656525218002088_3253379583009946799_nUltima vignetta per Veleno. Il personaggio con i capelli a punta e la lingua al vetriolo nato dalla penna di Mav non sarà più in città per ironizzare sugli stereotipi ferraresi. Dà il suo addio personale (quindi birraiolo) con il terzo e ultimo volume di fumetti a lui dedicato che raccoglierà tutte le sue strisce dalla 201 alla 300. Ne abbiamo parlato con il ritrattista, illustratore e fumettista ferrarese per farci raccontare qualcosa di più del suo ultimo “diario di bordo a fumetti” appena pubblicato.

Il protagonista Veleno scompare. Come mai questa scelta? Mav verso altri lidi?

Non ho più niente da dire. Il fumetto locale è nato 6-7 anni fa perché volevo dire la mia su alcuni personaggi ferraresi incontrati durante le uscite serali. Ora Veleno si è ‘esaurito’, ha preso abbastanza per il culo i luoghi comuni dei ferraresi. Conservo un bel ricordo di questa esperienza che mi ha dato qualche soddisfazione, certo non sono Zerocalcare ma è stato divertente. Ora mi dedicherò ad altro, continuerò a disegnare con un respiro più ampio, continuerò a fare ritratti… in futuro chi lo sa.

Quali sono i peggiori luoghi comuni dei ferraresi che hai messo nero su bianco in questi anni?

In primo luogo i quotidiani online che si occupano di notizie che non sono notizie, come questa intervista (accusiamo il colpo, touchet!, ndr). In generale sicuramente la chiusura mentale. La convinzione di essere i più fighi quando siamo dei pezzenti, l’imperativo di girare sempre in gruppetti di 3-4 persone e prendere per il culo il resto del mondo, i morti di figa e le ragazze che si credono geniali quando non lo sono, la convinzione di tutti di essere grandi artisti. E poi anche l’alcolismo imperante e dilagante, ma questa è una buona cosa. Vivendolo da persona solitaria, nel senso che esco da solo ma poi parlo con tutti, osservo le dinamiche sociali che sono sempre le stesse: la vita da ferrarese medio insomma.

C’è un mistero sulla vignetta numero 300: non è stata anticipata come tutte le altre sulla pagina di Velenocomics, di che si tratta?

Nessun mistero, è ‘colpa’ dell’impostazione grafica che, essendo più lunga dei soliti 4-6 quadratini, non permetteva la pubblicazione online ma solo sul cartaceo. Non si tratta di una scena epocale o di un addio straziante: il personaggio annuncia che sarà l’ultima vignetta. C’è anche un riferimento al vostro giornale. Veleno dice: “Noi fumetti esistiamo solo perché qualcuno ci legge, se nessuno ci legge noi smettiamo di esistere, un po’ come i commentatori di Estense.com”. Si cita anche il film Blade Runner (“ne ho viste di cose…”) e ovviamente c’è l’immancabile birra.

Come si è modificato l’autore dalla vignetta numero 1 alla 299? Cosa sente che è cambiato?

In questi anni sono inevitabilmente cambiato, ma non penso grazie al fumetto. Più del mio cambiamento personale mi è piaciuta l’evoluzione grafica del personaggio in sé. Da una cosa acerba e insicura sono arrivato a uno standard, a un livello di disegno non dico professionale ma che comunque dimostra che c’è un lavoro dietro. Ho acquisito nel tempo uno stile che non sapevo di avere. E, come mi ha detto un vecchio saggio che staziona ai Due Gobbi, “adesso che hai imparato a disegnare non hai più un cazzo da dire”. È vero, quando non si ha più niente da dire è meglio stare zitti.

Come è nata la passione per questa forma d’arte?

Disegno da sempre, fin da quando ero bambino. A 6 anni sapevo già che avrei studiato in un istituto d’arte, non perché pensavo di avere un talento ma perché comunque disegnavo meglio degli altri. Dopo essermi iscritto alla scuola d’arte, però, ho scoperto la chitarra e non ho più preso in mano una matita fino ai 24-25 anni. Ho ricominciato con i ritratti prima di creare il personaggio di Veleno, ispirato allo stile dei Peanuts.

Quindi Veleno è una sorta di Charlie Brown alla ferrarese?

Diciamo che disegno la versione alcolizzata e sotto psicofarmaci dei Peanuts. Un Charlie Brown cresciuto a suon di birre e pasticche che conserva ancora l’umorismo nel descrivere ciò che lo circonda.

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