Recensioni
13 Luglio 2016
Il complesso museale Santa Maria della Scala di Siena ha voluto dedicare una mostra al grande interprete della transavanguardia

Francesco Clemente e i “Fiori d’inverno a New York”

di Redazione | 4 min

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Nessuna parola nella critica del dopoguerra è più discussa del termine “postmoderno”. Questo in buna misura perché esso può essere compreso solo in relazione ad altri termini ampi, che sono ugualmente difficili da afferrare, come “modernismo”, “modernità” e “modernizzazione”. “Postmodernismo” inoltre è già paradossale di per sé. Da una parte, suggerisce che il “modernismo” – compreso come raffinato di ciascuna forma d’arte verso la sua essenza distinta o, al contrario, come critica di ogni distinzione estetica – è in qualche modo finito. Dall’altra, nel lavoro di alcuni artisti e critici pure collegati al termine, il postmodernismo ha offerto nuove intuizioni sul modernismo.

Questo vale, soprattutto, per la Transavanguardia, movimento italiano, teorizzato e sostenuto alla fine degli anni Settanta del Novecento dal critico A. Bonito Oliva.

In linea col pensiero –postmoderno, il termine intendeva alludere all’”attraversamento della nozione sperimentale dell’avanguardia” rivendicando il “nomadismo” degli artisti e la loro libertà di muoversi da un territorio stilistico all’altro nonché di mutare sensibilità da opera a opera, praticando un ecclettismo stilistico all’insegna del recupero e della commistione dei linguaggi appartenenti a diverse tradizioni. Non diversamente dal – neoespressionismo tedesco la Transavanguardia, sanciva il ritorno, dopo alcuni decenni di egemonia delle poetiche concettuali, a una pittura dai tratti marcati e dalle cromie violente, seppure in parte mitigati da una visione solare e ironica dell’esistenza, e il recupero di una figurazione più tradizionale e di una sorta di artigianato pittorico. Il nucleo storico della Transavanguardia, consacrato dalla sezione Aperto alla Biennale di Venezia del 1980, curata dallo stesso Bonito Oliva, era formato da S. Chia, E. Cucchi, N. De Maria, M. Paladino e da F. Clemente.

Proprio a Francesco Clemente (Napoli 1952) il complesso museale Santa Maria della Scala di Siena ha voluto dedicare una mostra dal titolo Francesco Clemente. Fiori d’inverno a New York curata da Max Seidel con la collaborazione di Carlotta Castellani, (catalogo Sillabe)

Con questa mostra, Clemente, grande interprete della transavanguardia per le sue continue contaminazioni pittoriche ed espressive, ha voluto rendere omaggio a Siena, città che già nel 2012 ha dimostrato un vivo interesse per la sua arte con la prestigiosa nomina per l’esecuzione del drappellone del Palio. In seguito a tale collaborazione l’artista ha realizzato dieci opere inedite, suddivise in due cicli distinti, da esporre nella città su invito di Max Seidel. Si tratta di dieci tele di grande formato realizzate dal pittore napoletano a New York a partire dal 2010 – ed esposte per la prima volta a Siena. La serie dei “Fiori d’inverno a New York” è costituita da cinque opere che hanno impegnato  l’artista per più di cinque anni (2010-2016). Questo ciclo nasce in collaborazione con la moglie dell’artista, Alba Primiceri, nota attrice e coreografa, la quale ha scelto alcuni fiori presenti a New York nei mesi invernali che hanno costituito la base per una rielaborazione pittorica da parte di Francesco Clemente, contraddistinta dall’accurata selezione dei pigmenti di origine vegetale utilizzati per ciascun lavoro. Sono presenti in mostra anche le opere della serie – intitolata “l’Albero della vita” – che rappresenta la summa del linguaggio adottato dall’artista fin dai suoi esordi, con riferimenti ad alcuni motivi presenti nella sua produzione e collegati al ciclo della vita. L’iconografia di Clemente attinge liberamente dalle fonti più svariate come la mitologia classica, il buddismo, la storia e la letteratura orientale e l’immaginario contemporaneo, ma in essa è particolarmente evidente l’interesse per le tradizioni contemplative dell’India, paese dove l’artista ha vissuto per lunghi periodi fin dai primi anni Settanta e dove continua a soggiornare per molti mesi dell’anno.

Nella continua esplorazione della manualità della sua arte, Clemente ha sperimentato ogni tecnica senza affermare alcuna gerarchia: disegno, affresco, encausto, pittura ad olio, arazzo, incisione e collage. Esse costituiscono la cornice dei suoi lavori, l’insieme degli strumenti con cui si mette ogni giorno all’opera, il consumato mestiere che conferisce rigore al suo processo creativo. Laddove il disegno e l’acquarello si configurano come tecniche veloci, leggere e trasportabili, la pittura ad olio, utilizzata per la prima volta nel 1982 per la serie The Midnight Sun,

ha dei tempi lunghi che vincolano l’artista a lavorare nel suo studio. Si tratta di una tecnica lenta, che modifica profondamente il rapporto tra l’artista e la sua opera. Al contrario “nell’acquarello il colore si ferma sulla carta in modo imprevedibile, c’è un gioco tra controllo e libertà che è congeniale alla mia immagine del mondo, dove tutto è reale e tutto è cambiamento continuo”.

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