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12 Luglio 2016
Il tempo di Signorini e De Nittis nelle collezioni di Borgiotti e Piceni

L’Ottocento si apre al mondo

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Il nuovo appuntamento viareggino della Fondazione Centro Matteucci per l’arte Moderna (aperta fino il 26 febbraio 2017) è molto di più di una pur emozionante carrellata di capolavori di De Nittis, Zandomenighi e Boldini affiancati a opere non meno superbe di Signorini, Lega e degli altri protagonisti del momento macchiaiolo.

Ѐ il racconto per immagini di una ‘singolar tenzone’, mai ufficialmente chiarita eppure vissuta con passione, tra due fini intellettuali e grandi esperti d’arte nella Milano di via Manzoni, all’indomani del secondo conflitto mondiale.

I due, Enrico Piceni (1901 – 1986) e Mario Borgiotti (1906 – 1977), avevano abitazioni e collezioni a pochi passi di distanza. Entrambi frequentavano il bel mondo della cultura del tempo.

Il primo, Piceni, si occupava della Medusa e dei Gialli per Arnoldo Mondadori, era traduttore di Dickens e della Brӧnte, amico di Montale e di Vergani. E soprattutto appassionato estimatore degli “Italiani di Parigi”, ovvero Giuseppe De Nittis, Federico Zandomenighi e Giovanni Boldini. Di loro cercava, e sapeva conquistarsi, opere di qualità sublime.

Il secondo, livornese di nascita e di spirito, giunse a Milano dopo essersi “formato” alle Giubbe Rosse di Firenze, amico di Papini, Cecchi e Soffici. Musicista e violinista. Ma soprattutto innamorato dei “suoi” macchiaioli. Che naturalmente cercava, anche lui dopo una selezione quasi maniacale, di condurre nella sua collezione.

Giuliano Matteucci, grazie alla collaborazione con la fondazione Enrico Piceni e il comune di Viareggio è riuscito a proporre al pubblico, insieme, le collezioni personali dei due protagonisti, la prima confluita nel patrimonio della Fondazione Piceni, la seconda tutt’ora nella disponibilità della famiglia Borgiotti (catalogo Fondazione Centro Mateucci).

Imiti d’arte
lo dolce stile
sia buon semplice
puro e gentile
sempre il sussiego
metta da parte
ed ami l’Arte
solo per l’Arte
Ascolti sempre
le voci arcane
e con miseri
spezzi il tuo pane
Mai nel tuo cuore
Metta in oblio
Il VERO, il PROSSIMO
FAMIGLIA e DIO.

Questi versi tratti da una ispirata e commovente lettera del padre Francesco Borgiotti (arch. Istituto Mateucci, Viareggio) contiene, nella forma di enfasi nozionale, una illuminata predizione, ricca di un repertorio metaforico di sorprendente chiarezza, rivolta ad un Mario Borgiotti poco più che trentenne ma dalle grandi capacità ed intuizioni artistiche ed intellettuali.

Nel tempo, il crescente prestigio di Borgiotti, non solo come mercante e elegante collezionista, attrae su di lui l’attenzione e la fiducia di uno dei più raffinati editori, Aldo Martello. Grazie al suo supporto Borgiotti trova lo stimolo per portare a compimento, in tempi ravvicinati, le pubblicazioni biografiche più rilevanti degli artisti, dotandole di un carattere di maggiore scientificità.

In mostra, della collezione Borgiotti è presente il significativo olio su tavola Tre artiglieri di Giovanni Fattori. Scrive Borgiotti: “I suoi soldati gli ispirarono composizioni spaziate, ricche di immagini e di forme ritmiche, in un’aura potentemente suggestiva e rivelativa della sua grande anima”.

La comprovata lungimiranza estetica ed un intuito raro condussero Borgiotti ad includere un piccolo olio “ Barocciai. Vecchio centro di Firenze” nel volume Coerenza e modernità dei pittori labronici, con il titolo Coperte rosse riconoscendone a pieno il valore di opera cardine, non solo nella produzione fattoriana, ma in quella delle generazioni a venire.

L’acquisto de La passeggiata di Vincenzo Cabianca da parte di Borgiotti risale all’agosto 1964, anno in cui concluse le fatiche della pubblicazione dei due tomi del Genio dei Macchiaioli. Nella composizione il muro, elemento caro alle ricerche macchiaiole, risulta la componente di innesco dell’audace meccanismo figurativo: mentre, come un diaframma compositivo, stringe i soggetti sul primo piano, inducendo ad un’osservazione analitica, esso funge da schermo rispetto al paesaggio, il cui accenno nella chioma autunnale non cessa di destare lo stimolo immaginativo.

Così nell’opera di Telemaco Signorini L’uncinetto, l’effetto di incantata sospensione è ottenuto nella combinazione perfetta di paesaggio e figura, in cui il primo non cede il primato alla seconda divenendone la cornice, ma con essa si fonde andando a comporre un univoco messaggio di delicata liricità.

Nato con il secolo, il 26 marzo 1901, Enrico Piceni aveva giusto trent’anni e, all’epoca, vantava una carriera da critico letterario, teatrale e giornalista. Con Mondadori cominciò a pubblicare raffinate monografie di artisti dell’Ottocento e maturando, nello stesso tempo, un’attività da collezionista sapiente.

Dopo il ’45, Piceni, ormai nel pieno della maturità, proseguì nella sua ricerca di opere d’arte, sempre diviso tra la capitale lombarda e quella della Belle Ѐpoque, quando la città si divertiva tra mille luci e can-can. Età felice e spensierata, ma già con i germi del cataclisma, così ben rappresentata da Giovanni Boldini, mostro sacro della Parigi fin de siècle, sempre circondato da affascinanti e compiacenti modelle, spesso di alto rango. Dell’artista ferrarese (Ferrara 1842- Parigi 1931) in mostra è presente

Ritratto dell’attore Coquelin Aînè. Innamorato della capitale francese, dove visse oltre mezzo secolo, Boldini ne descrisse instancabilmente i più diversi aspetti: le vie affollate e spiritose, i ritrovi notturni, le piazze illustri, gli angoli sconosciuti e soprattutto le donne. In questo caso, protagonista del quadro è Coquelin Aînè, anch’egli molto rappresentativo della Parigi inebriante fin de siècle.

Segue lo splendido olio su tavola La Toilette (1885). Nella protagonista della scena si può riconoscer la contessa Gabrielle de Rasty, amante del pittore. Nel 1875, Boldini espose al Salon un’immagine della sua nuova musa ispiratrice e fu da quel momento, come ricordava Enrico Piceni, che iniziò “a stirare la sua pennellata, aggredendo le tele, sciabolandole con lunghi e dinamici tratti”.

Piceni parlava di ‘monumentale impudicizia’, mettendone in contrasto la femminilità moderna e aggressiva con “la grazia decente e casalinga delle donne di Zandomenighi”.

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