Cronaca
11 Giugno 2016
La storia di un migrante respinto in Sicilia e 'recluso' in una stanza con le sbarre per quasi una settimana

Il permesso di soggiorno è scaduto, la nave da crociera diventa una prigione

di Redazione | 2 min

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c33e03f53f47e1f24162afe692836ff4Imprigionato in una nave da crociera, senza aver commesso alcun reato, senza che sia stato un giudice a decidere di restringere la sua libertà personale. È l’anomala situazione in cui ha vissuto per quasi una settimana un cittadino tunisino, con un regolare lavoro in Emilia Romagna.

Un viaggio dalla Tunisia a Palermo e ritorno, quello affrontato dal 40enne, con un regolare lavoro in Emilia, ma la seconda tratta dentro una cabina con le sbarre: all’arrivo nelle coste siciliane la Polizia di frontiera lo respinge perché – spiega il suo avvocato, Massimo Cipolla del foro di Ferrara –  “privo dei requisiti richiesti dal testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato”. E così il vettore, la nave da crociera, ha l’obbligo di riportarlo nel luogo di provenienza. E lo fa, ma rinchiudendolo in pochi metri quadrati dai quali non può uscire e proseguendo la sua rotta per il Mediterraneo, senza deviazioni, per un viaggio che dura dal primo al 7 maggio.

Ma cosa è successo? L’antefatto risale all’ottobre 2015 quando l’uomo presenta la domanda per il rinnovo della carta di soggiorno, in scadenza ad aprile. A gennaio torna in patria, per poi riprendere la via dell’Italia a bordo della nave da crociera e arriva a Palermo, dove viene respinto. Per la questura di Ferrara è irreperibile: il domicilio dichiarato non risulta più utilizzato, anche se il 19 novembre 2015 ha avviato il procedimento di cambio anagrafico dell’indirizzo. L’intoppo porta al diniego del rinnovo: il permesso va richiesto alla questura della provincia di residenza, ma il 40enne non risulta più residente a Ferrara. Potrà proporre identica istanza al questore del capoluogo in cui effettivamente dimora.

Solo che in quel momento la sua dimora temporanea è una specie di cella dalla quale non può uscire. Può però usare il telefono cellulare con il quale contatta i parenti e il suo legale, al quale manda le foto della sua reclusione forzata. Il legale scrive allora al ministro dell’Interno Angelino Alfano per chiedere il perché di quel rimpatrio. Ma dal Viminale non arriva alcuna risposta.

“Indipendentemente dalle ragioni giuridiche della polizia di frontiera – afferma l’avvocato Cipolla – sono preoccupato dalla possibilità che le nostre autorità fossero consapevoli di questa situazione. Abbiamo una persona che è stata privata della propria libertà senza l’intervento di un giudice. È un fatto molto grave, che viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Per questo l’avvocato sta valutando un ricorso alla Corte di Strasburgo, “perché ritengo fondamentale assicurarsi che questi fatti non si ripetano. Ci troveremmo altrimenti di fronte a una aggressione dei diritti dei migranti che purtroppo riscontro spesso nella mia pratica professionale quotidiana”.

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