L'inverno del nostro scontento
31 Maggio 2016

Sotto l’attacco dell’idiozia

di Girolamo De Michele | 16 min

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25Aprile. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che auguro a voi di non sentire mai”. 

È con le parole di Piero Calamandrei – tra i padri fondatori della Costituzione – che il sindaco Alan Fabbri apre il suo intervento durante la celebrazione del 25 aprile, dopo l’alzabandiera e il picchetto d’onore. 

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Arriva un’altra tegola per l’immagine perduta di Ferrara come città d’arte e di cultura. Rovigo l'ha superata in numeri per quanto riguarda uno dei fiori all’occhiello che fino a poco tempo fa la rendeva famosa e attrattiva in tutta Europa

Per gestire il potere serve un fesso e lo sarai,
per gestire il potere serve un dotto e lo sarai,
qualunque ruolo serva ci sei tu e lo coprirai
e nun cagna proprie niente se ci sei o ci fai

(99 Posse, Sotto l’attacco dell’idiozia)

La prima volta che ho incontrato il razzismo

È stato nei primi anni Ottanta, a Bologna. In un bar, dopo una partita della nazionale (povero, e fiero di esserlo stato, non avevo i soldi per la televisione che andavo a guardare al bar). Non ricordo perché alcuni studenti greci (c’era una folta comunità di greci, all’epoca, a Bologna) festeggiavano la sconfitta dell’Italia; ricordo solo uno dei tifosi italiani, frustrato dalla sconfitta e invidioso della gioia altrui, che disse a un greco: perché non te ne torni a casa tua a festeggiare? Non lo sai che siamo già in troppi, qui in Italia?

E il greco gli rispose, a muso duro: è perché siete troppi che mettete le bombe nelle stazioni?

Da testimone e vittima scampata per un pelo alla strage del 2 agosto, diedi ragione al greco. Gliene dò ancora oggi: perché quei leoni da tastiera che oggi sbavano il loro rancore latrando Prima gli italiani!, Ferrara libera!, Basta invasione!, Immigrati a casa loro! (con l’eccezione delle prostitute minorenni nipoti di presidenti egiziani, ça va sans dire), sono i figli politici di quelli che ieri seminavano non slogan, ma bombe nelle stazioni, nelle piazze, sui treni. Poi, a ricordarci che non c’è causa senza effetto, emergono dal web hate speech come questo:

Quel che odio / quel che non mi piace: Uguaglianza, tolleranza, diritti umani, correttezza politica, ipocrisia, ignoranza, religioni e ideologie che assoggettano gli individui […]. Tu pensi che la democrazia significhi libertà e giustizia? Ti sbagli. La democrazia è una dittatura della maggioranza morale… e la maggioranza è manipolata e dominata dalla mafia di Stato. La moderna democrazia occidentale non ha nulla in comune con libertà o giustizia; è un sistema totalitario e corrotto. Le leggi sono fatte sula testa del popolo, e al popolo viene fatto subito dopo la nascita il lavaggio del cervello affinché sostenga il sistema e si connetta alle strutture istituzionali.

L’autore di questo delirio fascio-paranoide, Pekka-Erik Auvinen, ha compiuto una strage di studenti nella sua scuola in Finlandia, il 7 novembre 2007. Diversamente da Anders Breivik, il nazista autore della strage di Utoya (22 luglio 2011, 77 vittime), non ci furono politici come il leghista Borghezio [⇒ qui] a dire che «Molte sue idee sono buone, alcune ottime. È per colpa dell’invasione degli immigrati se poi sono sfociate nella violenza». Ma forse solo perché non sapevano dov’è la Finlandia.

Non tutti i musulmani sono terroristi, ma…

Verso metà marzo, concludendo una lezione sulle fallacie argomentative, in appendice alla logica di Aristotele (è un programma che per anni ho svolto all’Università, alle matricole di giurisprudenza, e che propongo ai miei studenti di liceo), ho tradotto nel linguaggio comune un esempio del manuale di logica che recita, più o meno: non tutti i russi erano anarchici, ma quasi tutti gli anarchici erano russi. Una fallacia – o una stronzata, come si dice nel linguaggio comune (come direbbe il filosofo H.G. Frankfurt, che alle stronzate e ai loro dicitori ha dedicato un breve ma fulmineo studio linguistico [⇒ qui])  – ovvero un ragionamento neanche falso, ma scorretto, che mette insieme due frasi che non dovrebbero connettersi, e che connesse non dimostrano alcunché. E ho aggiunto: c’è un’analoga fallacia che gira nel web: non tutti i musulmani sono terroristi, ma quasi tutti i terroristi sono musulmani. Ma non sperate che averne dimostrato l’erroneità logica serva a confutare quelli che lo usano: perché loro lo sanno che è una fallacia, ma la usano lo stesso, perché gli interessa non la verità, ma affermare le proprie idee razzistiche con qualunque mezzo.

Dieci giorni dopo [⇒ qui] , il presidente della regione Liguria ha detto le stesse parole in televisione: Tutti i musulmani non sono terroristi ma è certamente vero che tutti i terroristi degli ultimi anni sono musulmani. Quale parte della parola Breivik sarà oltre la capacità di comprensione dell’astro nascente del centro-destra?

Passa qualche altra settimana, e senti gorgogliare in giro che non tutti gli extracomunitari sono pusher, ma quasi tutti gli spacciatori sono di colore

Gli autori di questi pseudoragionamenti si nascondono spesso dietro la paternità altrui (ad esempio, Giuliano Ferrara dietro Oriana Fallaci, che quella frase sui musulmani tutti terroristi non l’ha mai detta né scritta – e che sia troppo persino per Oriana Fallaci dovrebbe significare qualcosa…), per svincolare dalla responsabilità di avere costruito una fallacia – sono loro che lo dicono, non lo dico certo io… Resta che questo ragionamento privo di valore logico ha un alto potere performativo: induce, per rovesciamento, ad affermare ciò che nella premessa iniziale finge di negare – che tutti i musulmani sono terroristi, e tutti i “negri” sono spacciatori, e pisciano sui muri.

Sotto ogni foto c’è una didascalia

Accanto alle stronzate spacciate per ragionamenti, circola – anzi, ricircola, come il virus dell’influenza aviaria che periodicamente ritorna – una foto-patacca spacciata per testimonianza dell’oggi (ed era patacca già quando, tre anni fa, pretendeva di raffigurare l’attualità: se n’è accorto anche Naomo Lodi, che è vecchia di 4 anni) raffigurante bambini che giocano dentro un cassonetto. A mettere in discussione la foto, ci si sente dire che quando il dito indica la luna, lo stolto accusa il dito: ma quando è cane ad abbaiare al lampione che scambia per la luna, chi è lo stolto?

Resta che, al netto delle anime belle (che comunque un’anima, e una coscienza morale correlata, purtuttavia l’hanno) e della deontologia (che qualcosa vorrà pur dire), una foto non è mai neutra, perché dietro ogni foto c’è sempre un racconto, e sotto ogni foto c’è una didascalia, esplicita o implicita, che pre-giudica e orienta il passaggio dal segno al significato. Nel caso di una delle foto in questione è la cornice ad orientare il voyeurismo pornografico: quello sguardo col quale si cerca morbosamente e ossessivamente solo quello che si è venuti a vedere, ignorando tutto il resto. Eccoli, guardateli, i miserabili che sguazzano nel degrado – che schifo, signora mia!

gesu_nato_grottaMa di grazia: come credete che vivano, i miserabili? Chi sopravvive di stenti ed elemosine, se e quando scacciato dal sagrato della chiesa o dall’ingresso del supermarket, dove credete che vada a cercare il cibo, a sera? Bisogna davvero aver condotto una vita fra cecità e ipocrisia, per non aver mai visto un miserabile, per non aver mai percepito l’abiezione in cui si può cadere, in cui qualcuno effettivamente cade. Ma la vista dei miserabili che razzolano fra i rifiuti, dormono e vivono per strada o in tuguri o in palazzi abbandonati (le grotte vanno bene solo per i Presepi abitati da pupazzetti di plastica, è noto), chiedono l’elemosina disturba la vista: meglio scambiare l’effetto per la causa, rimuovere il sintomo. Meglio che vadano a morire più in là, in un’altra città o mare o paese, insomma là dove non possiamo vederli.

La lingua greca ci ha dato, assieme a “democrazia”, una parola essenziale per definire chi si occupa solo del suo proprio, di casa sua, dei fatti propri, e ignora ciò che accade al di là del suo ombelico – cioè nel mondo intero: costui è l’idiotes. Da cui l’idiozia, che viene scambiata per quella «libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato» (David Foster Wallace, Questa è l’acqua).

Ebolavirus

ebolavirusC’è un momento in cui si è raggiunto il punto di non ritorno: è stato quando non l’epidemia di virus Ebola è sfuggita al controllo e, infettando decine di migliaia di esseri umani, ne ha ucciso oltre 10.000 (fra i quali alcuni occidentali). Un florilegio di quello che è stato detto fra ottobre e dicembre 2014 non solo dai soliti leoni da tastiera, ma anche da parte di wannabe esponenti della politica o della cultura (absit iniuria) locale, costituirebbe un monumento all’imbecillità (chi voglia rinfrescarsi la memoria può scorrere i commenti di questi articoli: qui, qui, qui). Si noti che non uno di questi fenomeni, finita l’emergenza, ha avuto il pudore di presentarsi e scusarsi delle proprie parole – di ammettere di aver aperto la bocca senza collegare il cervello. E magari di autoinfliggersi una quarantena di silenzio.

Ma se per alcuni si può invocare l’attenuante del parziale obnubilamento della facoltà di giudizio, per altre locuzioni o immagini che hanno strumentalizzato una tragedia per la propria propaganda razzista non c’è altro aggettivo che “infamia”. Si è arrivato ad accusare Emergency e Medici senza Frontiere di essere i nuovi untori che spargono la peste; di accusare l’infermiere che, sottoponendosi alla somministrazione di farmaci sperimentali, ha contribuito alla scoperta della cura di aver portato il virus in Italia. Sono circolati loghi come quello riprodotto qui sopra.

Sono le stesse fabbriche di infamia che oggi attraverso vomitevoli spazi social inneggiano all’odio – predicano e/o festeggiano l’annegamento dei profughi, definiscono la Marina Militare italiana “Scafismo di Stato”. Che accusano di “genocidio” le vittime di un genocidio in corso. Che inquinano, avvelenano, intossicano molto più delle ipotetiche dosi di hashish che le forze dell’ordine vengono a cercare con i cani antidroga davanti alle scuole – e di sicuro puzzano più del fumo di una canna.

Sono queste le didascalie, le cornici di senso, nelle quali la singola foto-patacca va collocata. È quel genere di infamia che sfilava non fra i residenti, ma nella testa leghista del corteo del 13 maggio. In spirito, ma anche in carne ed ossa: con buona pace della cecità di chi parla di “percentuale irrisoria rispetto alla totalità“.

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Sotto l’attacco dell’idiozia

È sotto gli occhi di tutti la stretta correlazione esistente tra odio politico online e attualità (per cui si generano discussioni accese in corrispondenza, o come conseguenza, di un evento che abbia ampia risonanza nella cronaca) e tra odio politico e propaganda elettorale quale metodo subdolo, e apparentemente neutro, per fomentare odio nella società, per diffondere insicurezza generalizzata tra i cittadini e per raccogliere, così, maggiori consensi. In tal caso, negli ultimi anni, l’odio politico si è accompagnato all’odio razziale, e tutti i politici, anche i meno estremisti, hanno compreso come i discorsi d’odio su temi etnici, religiosi, razzisti e sessuali possano avere una forte capacità di alterare l’equilibrio centrale e locale, d’influenzare direttamente i comportamenti dei cittadini e, in estrema sintesi, di muovere voti (Giovanni Ziccardi, L’odio on line, 2016).

Più sinteticamente, i 99 Posse: «che idiozia nun è pe’ nient, è nu strumento di potere, / nu strumento intelligente ca trasforma n’omm’ ‘e merda / in ministro o presidente».

Una sorta di rabbia controllata

«L’altro giorno, ho detto: “dovremmo praticare una sorta di rabbia controllata”, e il concetto in un certo senso funziona perché si tratterebbe di una rabbia che, nei limiti del non denunciabile (per autoprotezione) e di un impegno ad andare in profondità con gli strumenti critici appropriati (tipici di ogni vero antifascista), autorizzi chi lavora su queste cose a inveire, a maledire i costruttori di odio e divisione. A dire, insomma: “maledetti vampiri, putridi parassitari fascistoidi, non vincerete mai”. Lo devono sapere, questi qua, che dall’altra parte non si fanno sconti, che non dimentichiamo. E che non passeranno, o che perlomeno incontreranno resistenza. Non si tratta di erogare odio, in questo modo vincerebbero perché quello dell’odio è il loro campo. Si tratta di rendere chiaro, ad esempio, cos’è “un’opinione” e cos’è invece un crimine. Giusto per fare qualche esempio: Marchini non è e non sarà mai “libero di chiudere i campi rom”. Quando Libero urla “bastardi islamici” non sta “esprimendo un’opinione”, sta incitando all’odio razziale. Una Santanché che vuole tirare missili sui barconi in mare non sta “enfatizzando un pochino”, bensì sta promuovendo un crimine contro l’umanità. Chi vuole togliere averi e gioielli ai profughi in entrata è un nazista, come pure chi rinchiude i migranti e i profughi in una gabbia. Chi respinge i profughi a colpi di 2 o 3cento sta calpestando i nostri diritti, sta distruggendo l’Europa. Sì, di fronte a chiare accuse faranno le vittime, il giochetto lo ha descritto Fedro circa due millenni fa. I lupi si fanno vittime per mangiare gli agnelli. Ma noi non siamo agnelli. O meglio, dovremmo smettere di pensare come agnelli» (Lorenzo Declich, Implacabili, qui).

Vecchio scarpone, quanto tempo è passato…

Chi voglia un compendio di cos’è il fascismo ripensi o riguardi al lucido delirio di Nicola “Naomo” Lodi davanti al bar in via Ortigara – lo ripeto: non fra i residenti, ma nella testa leghista del corteo del 13 maggio. Dove alcuni esseri umani – per la cronaca: lavoratori in regola coi permessi al termine di una giornata di lavoro – sono stati oggetto di un breviario politico per il semplice fatto di avere la pelle nera. Se hai la pelle nera e sei in via Ortigara – diversamente da chi ha la pelle bianca e si abbevera a Scortichino – non puoi che essere un ubriaco (che un esponente della Lega di Ferrara deduca costumi e moralità dal conteggio dei tappi di birra suona un po’ come se il camerlengo del conte Dracula criticasse l’Avis per la gestione delle fiale di sangue – ma tant’è…). Se hai la pelle nera non puoi che essere uno che piscia sui muri; uno che deve chiedere permesso; uno che non è a casa sua.

«Io non vengo in Nigeria a casa tua a pisciare», sbraitava il Naomo. In realtà, sapesse Naomo dov’è e cos’è la Nigeria, saprebbe anche gli gli occidentali, e fra loro gli italiani dell’ENI, fanno ben altro che pisciare e cagare per terra: devastano l’ambiente, inquinano le acque, le terre e l’aria, provocando la morte di migliaia di esseri umani; sostengono un regime che ha eliminato ogni opposizione democratica, lasciano campo libero ai fanatici jihadisti di Boko Haram. È possibile che nessuno di quelli che erano al corteo abbia responsabilità dirette per quello che accade in Nigeria: perché mai, al contrario, ogni nigeriano dev’essere responsabile di quel che fa un singolo connazionale? Perché, nella testa di questo signore, tutti i nigeriani spacciano e pisciano; e tutti i neri sono nigeriani, neanche a dirlo.

Generalizzazioni razzistiche al posto dei fatti: questo è fascismo.

«Dovete chiedere permesso perché siete ospiti!», sbraitava il Naomo. Se Naomo conoscesse il significato di parole come Democrazia e Costituzione – parole difficili, perché a differenza di parole come naomo o alan, l’una ha più lettere delle dita di una mano, e l’altra addirittura più di quelle delle due mani – saprebbe che i diritti sono universali, e che ogni essere umano, italiano o meno, è titolare di inalienabili diritti. Che sui diritti non si chiede permesso, perché i diritti non sono concessi. E, per quei pizzicagnoli dell’anima coi ventri obesi, le mani in tasca e il cuore a forma di salvadanaio: quei diritti li pagano col loro lavoro, le loro tasse e i loro contributi, dal momento che la comunità migrante in Italia versa nelle casse dello Stato più tasse e contributi di quanto costi, e riceve una porzione di welfare inferiore a quanto le spetterebbe in proporzione a quanto versa.

Affermare che davanti ai diritti ci sono cittadini di serie A e cittadini di sere B: questo è fascismo.

«Verremo a controllarvi il negozio!», sbraitava il Naomo: promettendo comportamenti da giustizia privata, da squadrismo, nei confronti di un’attività economica legale, ma gestita da un immigrato di colore, che ha l’ardire di prendere la parola e argomentare in un italiano dal quale il leghista Naomo avrebbe da prendere lezioni (scatenando una canea di commenti razzisti che, dal forbito al rozzo, si riassumono nel “zitto tu, che sei nero come quegli altri“).

Promettere, ventilare, annunciare forme di giustizia fai-da-te: questo è fascismo.

«Questo non è il vostro quartiere, non lo sarà mai», sbraitava il Naomo: dimenticandosi, nel suo delirio proprietario che non concepisce altra relazione se non la distinzione fra ciò che è mio e ciò che non lo è, che la causa prima del dissesto abitativo di alcune (per fortuna poche) zone di Ferrara è nella mano libera che è stata data al liberismo proprietario di pochi rentiers, ai quali, in spregio a ogni utilità sociale della proprietà, è stato concesso di determinare situazioni di affitto o di mera allocazione di esseri umani che inducono o orientano a comportamenti che sfociano nel degrado. È il libero mercato, bellezza: è il profitto selvaggio che vede solo rendite e profitti laddove ci sono esseri umani che difendi a spada tratta a determinare quel degrado che produce degrado.

scarponeFare di un popolo, un’etnia, una razza il capro espiatorio per coprire le responsabilità di quel capitale (finanziario o immobiliare) del quale sei lo scodinzolante servo: questo è fascismo.

Il “metodo Naomo”: quando al ragionamento si sostituisce il riflusso esofageo, alla relazione di causa ed effetto il complotto e il capro espiatorio, alla parola il peto, al cervello lo scarpone – questo è fascismo.

Ho un rigurgito antifascista…

Posso immaginare l’obiezione: perché non te li prendi in casa tu, i clandestini e gli extracomunitari?

Potrei rispondere in modo civile, potrei far mie le parole di Cecilia Strada:

E perché dovrei? Vivo in una società e pago le tasse. Pago le tasse così non devo allestire una sala operatoria in cucina quando mia madre sta male. Pago le tasse e non devo costruire una scuola in ripostiglio per dare un’istruzione ai miei figli. Pago le tasse e non mi compro un’autobotte per spegnere gli incendi. e pago le tasse per aiutare chi ha bisogno. ospitare un profugo in casa è gentilezza, carità. Creare – con le mie tasse – un sistema di accoglienza dignitoso è giustizia. Mi piace la gentilezza, ma preferisco la giustizia.

Ma Cecilia Strada è gentile, com’è giusto che sia chi si assume responsabilità come le sue. Io non lo sono più. E, per inciso, non credo nel dialogo, neanche formale, con chi è intellettualmente disonesto, e soprattutto con chi non ha il minimo scrupolo di umanità nei confronti dell’immane massacro che sta avvenendo a causa di guerre e carestie. L’umanità agli umani, la bestialità alle bestie.

Anche perché a casa mia, cioè non nelle quattro mura del mio buco individuale, ma nella gran casa che è la terra in cui vivo e il mondo in cui abito, li ho già in carico i clandestini della civiltà, gli extracomunitari del genere umano, i turisti della democrazia. Ai quali della GAD non importa un fico secco – per loro è solo un’altra emergenza a scadenza programmata, da sventolarne una ogni sei mesi, poco importa se sono i migranti, gli zingari, l’Ebola, i mendicanti, i comunisti, gli Illuminati di Baviera, Soros, il Gruppo Bilderberg, l’€uro, la Ka$ta, il complotto giudo-pluto-massonico, i Venusiani e i cerchi nel grano: accogliere e far levitare qualunque rutto o peto si levi dalla società in/civile, pur di raccogliere malesseri e rancori scambiandoli per consensi, ignari di giocare all’apprendista stregone. Bisogna davvero aver comprato la laurea a Tirana (come quel tal leghista lombardo figlio di…), o per posta (come il sedicente “ingegnere” di Casa Pound padre di…), per non sentire la stessa aria che soffiava ai primi comizi di Milosevic, con le future milizie serbe arruolate fra i peggiori ultras delle curve calcistiche, che avrebbero commesso in nome della difesa dell’Occidente Cristiano crimini rispetto ai quali l’ISIS è la banda della via Pal (giusto per ricordare cos’è stata Srebrenica, e da quali orrori sono fuggiti molti dei cosiddetti “zingari”).

E avrei tanta voglia di dire che se “non c’è spazio per tutti” dovremmo metterci loro, su un barcone marcescente in mezzo al mare e in pasto ai pesci. E se poi mi vergogno di averlo pensato, perché significherebbe scendere giù nel tombino fino alla loro fogna, non mi vergogno di dire che se lo meriterebbero, e che Ferrara dovrebbe essere libera in primo luogo da loro – da questi servi dei servi di quell’1% dell’umanità dei quali sono uno strumento per continuare a mantenere in oppressione e miseria il 99%.

Scrive un amico che ha lungamente coltivato, e pagato in proprio non certo “alla romana”, il sogno di cambiare il mondo:

I bambini siriani respinti dall’Inghilterra, la chiusura del valico del Brennero, gli idranti in Macedonia, i fili spinati sulle frontiere dell’Ungheria, i rifugiati rimandati indietro in Turchia a un tanto al chilo, le forze armate della NATO a pattugliare quel cimitero marino che è ormai il Mediterraneo – se questo siamo, diremo dopo, chissà quando, come si disse dopo Auschwitz, che dopo Idomeni scrivere una poesia è un atto di barbarie?

Io dico che il diritto di scrivere una poesia non possiamo farcelo portar via, né possiamo recedere dal sogno di una vita degna di essere vissuta da tutti. E che è ora di cominciare a ricordare che ci sono epoche in cui, in nome della poesia e della gentilezza, non si può essere né agnelli, né gentili.

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