Recensioni
25 Maggio 2016
Il Palladio Museum di Vicenza celebra i 400 anni della morte del maestro che si formò più sui i libri che nei cantieri

Nella mente di Vincenzo Scamozzi. Un intellettuale architetto al tramonto del Rinascimento

di Redazione | 4 min

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Vincenzo Scamozzi (1548-1616) inaugura una nuova strada: è il primo architetto del Cinquecento a formarsi attraverso lo studio e una propria biblioteca personale. Di famiglia benestante, il giovane Vincenzo cresce a contatto con l’ambiente erudito dell’Accademia Olimpica e del seminario di Vicenza e, a quanto pare, frequenta Roma le lezioni del matematico gesuita Cristoforo Clavio. L’esito è inevitabilmente una architettura che nasce più dalla testa che dalla mano dell’autore, frutto di una visione teorica rigorosa, che non si nutre più del rapporto con la sola architettura romana antica, ma si allarga ad assorbire conoscenze provenienti da altre culture e dai nuovi fermenti scientifici del Veneto di Gallileo Gallilei.

Alla peculiare “forma mentis” di Scamozzi, al suo modo di acquisire, strutturare, rendere accessibili le conoscenze e quindi di usarle per generare architettura è dedicata una mostra, Nella mente di Vincenzo Scamozzi. Un intellettuale architetto al tramonto del Rinascimento curata da Franco Barbieri, Guido Beltramini, Kate Isard e Werner Oechslin.

Scamozzi è molto giovane quando comincia a raccogliere libri e manoscritti.

Ha ventuno anni quando acquista la sua prima copia vetruviana, a cui progressivamente aggiunge manoscritti di Francesco di Giorgio  e Leonardo e una nutrita collezione di testi a stampa, purtroppo dispersa alla sua morte nel 1616.

Della entità della biblioteca scamozziana rendono conto una ventina di volumi finora individuati fra Europa e Americhe, e rimandi a volumi oggi perduti contenuti nelle annotazioni vergate sui superstiti. Scamozzi fa infatti un uso intensivo degli esemplari che possiede, appuntandoli, sottolineandoli o integrandoli con nuove osservazioni. Nel caso di un esemplare dei cinque libri d’architettura di Serlio del 1551, apparso sul mercato antiquario parigino, giunge ad applicare accanto alle colonne di testo delle piccole lingue di carta ripiegabili, su cui annota le proprie osservazioni. Sono Tracce di una lettura implacabile in cui Scamozzi ingaggia un corpo a corpo con l’autore, di cui fa le spese anche il celebre De Architectura di Vitruvio, che Scamozzi dichiara di aver letto tre volte, come scrive su un esemplare oggi alla Biblioteca Vaticana: “la prima udito, la seconda goduto, la terza giudicato”.

Alla fase  della acquisizione segue l’organizzazione delle informazioni tramite delle vere e proprie “schede” manoscritte, di cui in mostra sono esposte un gruppo inedito, dedicato ai testi latini. L’accesso sistematico ai contenuti è una possibilità che Scamozzi offre anche ai propri lettori, elaborando degli indici organizzati per temi, sia per l’edizione di Serlio del 1584 sia per il proprio trattato l’idea dell’architettura universale, stampato a Venezia nel 1615.

Ma perché questo accumulo? “Palladio va a testoni” scriverà sprezzante Scamozzi, marcando la propria differenza dal campione della generazione precedente. Non si tratta di invidia professionale, quanto di un cambiamento radicale di scenario e prospettive. Il mondo era cambiato in fretta, tra il nuovo clima religioso dopo il Concilio di Trento, l’aggressività del Turco nel Mediterraneo, la devastante peste degli anni Settanta. Scamozzi deve fare i conti con questi mutamenti e cercare nuove strade, anche allargando i confini della propria disciplina. Viaggia per l’Europa e, primo fra gli architetti rinascimentali, guarda con interesse all’architettura gotica: in mostra è esposto uno stupefacente taccuino di viaggio in cui Scamozzi ridisegna planimetrie ed elevati delle cattedrali che incontra lungo la strada fra Parigi e Venezia nell’anno 1600.

Ma l’architettura deve farsi scienza, a partire da uno studio razionale della illuminazione naturale all’interno degli edifici, che in una celebre incisione pubblicata nell’idea è definita con la precisione scientifica di un trattato di ottica.

Ѐ vero per interventi a piccola scala, come l’illuminazione di una scultura di Sansovino nella cappella del Doge in Palazzo Ducale, forse il primo progetto

Illuminotecnico moderno, che aprirà la strada alle camere di luce barocche. Ma è vero anche per la grande scala del Duomo di Salisburgo, in un progetto non realizzato e rimasto su un foglio, che rientrato eccezionalmente in Italia per la mostra, proveniente dal Canadian Centre for Architecture di Montreal.

Certo Scamozzi non farà il passo definitivo, quello di Guarini per intenderci, secondo il quale l’architettura è una equazione matematica. Vede l’arrivo dei tempi nuovi, ma non riesce del tutto a liberarsi della tradizione precedente e rimane per così dire, sospeso tra due mondi.

Scamozzi è, dunque, l’ultimo dei grandi architetti del Rinascimento, stretto fra la tradizione trionfale della generazione di Palladio e il nuovo mondo di Gallileo Galilei.

Cerca una propria dimensione in una versione dell’architettura come pratica razionale, attenta agli aspetti funzionali, all’economia dei mezzi, ma anche a un nuovo rapporto con il paesaggio, producendo capolavori come la Rocca Pisana di Lonigo, il teatro di Sabbioneta, le Procuratie Nuove in piazza San Marco a Venezia.

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