Politica
9 Maggio 2016
Rendine chiede spiegazioni per un caso di sospetto favore verso una cuoca albanese. E si scopre il caso di cinque anni fa

Stranieri, il Comune ‘condannato’ per comportamento discriminatorio

di Ruggero Veronese | 4 min

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municipio ferrara - scaloneNon discriminazione nelle amministrazioni pubbliche, istruzioni per l’uso: “Costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.

Il passaggio appena citato proviene dall’articolo 46 del testo unico sull’immigrazione ed è riportato per intero in una sentenza dell’aprile 2011 del tribunale di Ferrara, che obbligò l’amministrazione Tagliani ad assumere a tempo indeterminato una cittadina albanese che nei mesi precedenti, alla scadenza del proprio contratto a tempo determinato con il Comune, non era stata stabilizzata.

Tra i requisiti richiesti vi era infatti anche la cittadinanza italiana: una restrizione che l’amministrazione giustificava in base ad alcune norme giuridiche nazionali (in particolare decreti del Presidente della Repubblica). Norme che tuttavia, come noto agli esperti di diritto, devono farsi da parte di fronte ai trattati internazionali e alle leggi comunitarie sottoscritte dall’Italia (da Maastricht in poi), che mettono nero su bianco il diritto alla “parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio”.

Per farla breve: nel 2011 il Comune si trova costretto a riassumere la cittadina albanese con lo stesso inquadramento precedente (aiuto-cuoca negli istituti scolastici) ma con contratto stabilizzato. “La mancata assunzione a tempo indeterminato – scriveva il tribunale – va senza alcun dubbio qualificata come un atto discriminatorio”.

Cinque anni dopo, in tempi ancora più tesi in materia di immigrazione, il caso esplode nuovamente: il consigliere comunale Francesco Rendine (lista Gol) interpella la giunta per chiedere come mai una cittadina albanese lavori per l’ente pubblico a discapito di una persona italiana: “Sarebbe auspicabile – scrive Rendine – un impegno dell’amministrazione per inserire i giovani ferraresi nelle poche opportunità lavorative che l’amministrazione può offrire“. Ma di chi parliamo? Naturalmente della stessa donna albanese che, dopo essersi scontrata in tribunale contro la “discriminazione” attuata dall’amministrazione comunale, si trova ora anche nel mirino dell’opposizione in consiglio comunale. Ironia della sorte: l’interpellanza accusa (neanche troppo velatamente) l’amministrazione di aver favorito una cittadina straniera, senza tener conto che proprio l’amministrazione era stata ritenuta responsabile di discriminazione verso quella persona.

Nella risposta al documento di Rendine, il vicesindaco Massimo Maisto ripercorre alcune delle tappe fondamentali del rapporto di lavoro: dopo l’assunzione a tempo indeterminato la dipendente ha lavorato prima in un asilo comunale, per poi presentare domanda di trasferimento all’ufficio anagrafe dove lavora in affiancamento. Al termine del periodo di prova, la prefettura comunica che solo i cittadini italiani possono svolgere le funzioni principali all’anagrafe e la donna viene trasferita in biblioteca Ariostea, dove si trova tuttora. “Ci si domanda – scriveva Rendine al termine dell’interpellanza – per quale ragione si è utilizzato per una funzione delicata uno straniero senza titoli e non un ferrarese con i titoli”.

La risposta del vicesindaco non chiarirà tutti i dubbi di Rendine, visto che la ricostruzione dei fatti parte dal 2011, quando il Comune fu obbligato all’assunzione dal tribunale in seguito a un non meglio precisato ricorso. Cosa è successo prima? Nella risposta di Maisto non compare alcun riferimento alla “discriminazione” attuata dal Comune nei confronti della donna. E infatti Rendine – tratto in inganno dalla replica lacunosa – parla di una “risposta singolare”, dove “le date di assunzione e del ricorso non coincidono e poi la risposta non chiarisce le modalità di assunzione. Chiederemo ulteriori chiarimenti”.

In realtà per avere ben chiaro il quadro della situazione basta leggere il testo dell’ordinanza del tribunale del 28/4/2011, che racconta nel dettaglio tutta la vicenda e da cui emerge un concetto netto: il Comune aveva già provveduto a ‘italianizzare’ tutti i propri dipendenti indeterminati mediante un apposito regolamento. E lo aveva fatto prima della “condanna” del tribunale per comportamento discriminatorio.

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