Spettacoli
6 Maggio 2016
Gran finale di stagione per la prosa del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara

Caduta e rinascita di un’anima ribelle: la Carmen napoletana di Mario Martone

di Redazione | 3 min

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carmen 2di Federica Pezzoli

“Che vi devo dire? I’ nun so’ morta! Musica maestro!”, grida con rabbia Carmen, mentre in sottofondo parte un “oiseau rebelle” in versione rock. Così si chiude il cerchio, nella Carmen di Mario Martone, in scena al teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara fino a domenica 8 maggio, unica tappa in esclusiva per l’Emilia Romagna. Questa volta è Carmen ad avere la prima e l’ultima parola della storia. Spettano a lei, eroina anarchica e malvivente, “puttana e filosofa”, ai limiti del crudele nel rifiutare la redenzione di una morale perbenista per rivendicare la propria libertà “anche se è l’ultima ruota marcia di questo mondo”. Non muore la Carmen di Mario Martone e di Enzo Moscato, viene accecata da quell’amore che l’aveva fatta brillare, ma la lotta per la vita non finisce e la cecità diventa la beffa del destino che le dà un altro tipo di vista, il doloroso sprone che la fa avanzare nella vita, diventando madama di bordello.

Dall’altra parte il rassegnato Josè, ex soldato, ergastolano, “stregato, affatturato”, amante folle, tenta di dare una sua morale: “ogni storia d’amore è stupida”, l’amore senza limiti, senza ragione, quella che lui ha schiacciato sotto i piedi, è sempre destinato al fallimento. Carmen però non gli lascia scampo e lo irride chiosando: “Che bella frase! Che magnifica espressione! Io, però, da parte mia, rovescerei sul dorso ‘sta frittata, e direi, piuttosto, che ogni stupido è fatalmente preda di una storia d’amore!”

Il furibondo e passionale passato che ancora li ossessiona prende forma nella Napoli dei vicoli dei quartieri spagnoli, della prostituzione, Napoli che piange e ride, madre e matrigna con la sua arte d’arrangiarsi, Napoli notte e giorno brulicante di un’umanità senza nome, dove la violenza cammina parallela alla legge, dove la corruzione va di pari passo con il desiderio di riscatto.

Un esperimento ardito, a metà tra la prosa e lo spettacolo musicale, l’opera lirica e la sceneggiata, questa contaminazione totale con al centro musica e parole, passione e tragedia. Mérimée e Bizet. Flamenco e Sceneggiata. Elegante francese e ruvido napoletano. Raffinatezza e vitalità, “volgarità e rime”, “sconclusionatamente insieme”: sta tutto “in equilibrio”, come dice la stessa Carmen, anzi Carmèn. A portarlo avanti con successo il regista Mario Martone con un testo scritto da Enzo Moscato, Iaia Forte nel ruolo di Carmen, Roberto De Francesco in quello di Josè. Ua contaminazione che riguarda anche la musica, arrangiata da Mario Tronco ed eseguite dal vivo dall’Orchestra di Piazza Vittorio. Quella di Iaia Forte è una Carmen ribelle, refrattaria agli schemi del sentimentalismo femminile, che ha quasi un che di maschile nell’affermazione del proprio piacere, seducente, lasciva. Il Josè-Cosè di Roberto De Francesco è un militare ligio al dovere, ‘surdatiello’ veneto sedotto, fagocitato da una Napoli barbara, che non tollerando la stupidità del suo innamoramento, lo sospinge nel baratro di follia e perdizione. Intorno a loro bravissimi attori che danno forse danno il meglio nella scena della festa sulla torre, festa di piazza e preludio alla sciagura. Fra gli interpreti anche i versatili componenti della multietnica Orchestra di Piazza Vittorio. Per i suoi undici elementi Mario Tronco (membro della Piccola Orchestra Avion Travel e fondatore, con Agostino Ferrente, dell’Orchestra di Piazza Vittorio) ha reinventato le musiche di Bizet, mescolandole con canzoni popolari e aprendole al mondo attraverso la contaminazione tra musiche e canti di paesi lontani.

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