Cronaca
6 Maggio 2016
Il 52enne è l'unico ad aver scelto il rito abbreviato e potrebbe così evitare l'ergastolo

Omicidio Tartari, chiesti 30 anni per il ‘capo’ Pajdek

di Ruggero Veronese | 3 min

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Ergastolo, ridotto a 30 anni per effetto del rito abbreviato. Senza isolamento diurno perché la pena per i reati ‘extra’ (quattro rapine) non supera i cinque anni. È un piccolo labirinto giuridico quello che porta alla richiesta di condanna del pm Filippo Di Benedetto nei confronti di Ivan Pajdek, al termine dell’udienza preliminare in cui la difesa di uno degli altri assassini di Pier Luigi Tartari, Patrik Ruszo, ha chiesto di affrontare il processo ordinario insieme a Constantin Fiti.

Pajdek, il ‘capo’ della banda, resta così l’unico indagato a optare per il rito abbreviato, che gli può consentire uno sconto di un terzo della pena e di conseguenza ridurre a 30 anni la condanna all’ergastolo. Durante la propria requisitoria, il pm Filippo Di Benedetto ha ripercorso tutte le tappe dell’indagine, dall’identificazione e alla cattura degli assassini di Tartari al loro grado di ‘collaborazione’ con gli inquirenti in seguito all’arresto. Il magistrato ha sostenuto di dover tener conto della “ampia confessione” resa da Pajdek, ma nonostante ciò le sue attenuanti rimangono inferiori rispetto alle aggravanti.

La storia tracciata da Di Benedetto è ormai nota a chi ha seguito le cronache locali: il 9 settembre 2015 Pajdek, Fiti e Ruszo penetrano nella casa di Tartari, ad Aguscello, per effettuare un furto. Che si trasforma in rapina quando i tre incontrano il pensionato all’interno dell’abitazione e si scagliano contro di lui con ferocia. Tartari viene picchiato, immobilizzato, legato e imbavagliato, per poi essere caricato in automobile e lasciato esanime in un casolare abbandonato in campagna. Un racconto confermato da Pajdek, che pure ha indicato Fiti e Ruszo come i responsabili della violenza sul pensionato e della sua morte.

I tre furono identificati attraverso le registrazioni video del bancomat del centro commerciale Il Castello, dove i tre erano andati a fare ‘shopping’ con la carta di Tartari. Gli inquirenti cominciarono così a mettere sotto controllo i telefoni dei tre indagati, incappando in una conversazione in cui Fiti accennava alla propria ex ragazza di qualcosa di grave commesso insieme a Pajdek e Ruszo, e delle sue intenzioni di lasciare presto l’Italia. Proprio Fiti è il primo ad essere arrestato, seguito da Ruszo che viene identificato dalle forze dell’ordine mentre viaggia in treno. Pajdek, nel frattempo, ha già tagliato la corda. È salito a bordo di un’automobile rubata, targata Podenone, e si è nascosto nei pressi di un campo nomadi in Slovacchia, in un paesino ai confini con l’Ungheria dove vivono alcuni parenti. I poliziotti locali trovano il mezzo abbandonato e di conseguenza l’uomo in fuga, che in un primo momento cerca di sottrarsi all’arresto utilizzando degli alias per nascondere la propria vera identità. Ma la sceneggiata non dura molto e in breve tempo la polizia italiana ottiene la sua estradizione, arrivando così alla cattura dell’ultimo fuggitivo.

E proprio Pajdek, assistito dall’avvocato Daniele Borgia, sarà il primo a conoscere la propria sorte, in virtù del rito abbreviato per cui ha optato con il proprio legale. Oggi ha 51 anni e con una pena di 30 anni tornerà in libertà solo a età molto avanzata. E Marco Tartari, il fratello della vittima, non riesce a nascondere la propria rabbia verso gli assassini di Pier Luigi: “Dove potranno portare 30 anni di reclusione a quel soggetto? Spero all’inferno. Dopo questa udienza credo si sia molto aggravata anche la posizione degli altri due: ora non hanno più vie di fuga”.

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