Spettacoli
13 Febbraio 2016
Al Teatro Comunale di Occhiobello penultimo appuntamento della stagione con gli Omini e “La famiglia Campione”

Parenti serpenti

di Redazione | 3 min

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102_2884di Federica Pezzoli

Occhiobello. Sono passati pochi giorni dal secondo Family Day di Roma e su tv, giornali e nelle aule del Parlamento, fra nastri arcobaleno, libertà di coscienza e appelli al voto segreto, continua a tenere banco il dibattito su cosa sia la famiglia oggi in Italia. E allora eccola “La famiglia Campione”, la compagnia pistoiese degli Omini l’ha portata in scena venerdì sera a Occhiobello, penultimo appuntamento della stagione curata dall’associazione culturale Arkadiis.

“Memoria del tempo presente”, così hanno si chiama il loro metodo, all’incrocio fra sociologia, antropologia e giornalismo: scelto un luogo, vi si va a risiedere per un periodo di tempo, mescolandosi agli abitanti e alle loro storie, intervistando anziani, bambini, persone di tutti i giorni, sbobinando poi il tutto per creare “un condensato” capace di “restituire un’istantanea di quel paese”, del cuore pulsante della provincia italiana. Con “La famiglia Campione” gli Omini hanno alzato il tiro: l’indagine ‘antro-sociologica’ si è concentrata sui rapporti famigliari e fra le generazioni ed è durata un paio di anni, con un progetto che ha coinvolto cinque comuni della provincia di Firenze e più di ottanta ragazzi.

Il risultato è questo spettacolo in cui il palco diventa una casa, un palco-corridoio, dove tre generazioni, nonni, figli, nipoti, si incontrano e si scontrano davanti alla porta del bagno nel quale la più giovane, Bianca, si è rinchiusa da poco più di una settimana, nessuno sa perché. Una famiglia comune, Campione di nome e di fatto, nella duplice accezione che si può dare al termine: quella statistica, cioè “un sottoinsieme di una definita popolazione individuato in essa in modo da consentire, con margini di errori contenuti, la stima di determinati valori dell’intera popolazione”, ed esemplare, ma non del rassicurante focolare domestico, bensì di ciò che può andare storto. “La famiglia Campione” sono i condomini, al di là di un muro troppo sottile per non sentire, sono i dirimpettai troppo vicini per non vedere, sono quella rappresentazione quotidiana in cui non vogliamo riconoscerci. “La Famiglia Campione” siamo noi, è la nostra famiglia, quella della sedia accanto. Non si scappa dalla famiglia.

Un’ora in famiglia, tutti insieme. E tutti soli, ognuno gira a vuoto, intorno alle stanze, intorno ai discorsi. Ci provano a stare insieme, ma si intuisce che è solo perché devono, perché è solo che è così che vanno le cose.

Uno spettacolo essenziale e spoglio, con luci fisse e senza suono – se non il Battiato di “Mare, mare, mare voglio annegare. Portami lontano a naufragare” – ben scritto e ben rappresentato da tutti gli attori che, con ritmo e ironia, riescono a restituire uno spaccato di realtà. L’attenzione del pubblico si focalizza sui contenuti di un lungo dialogo a più voci impreziosito da piccoli dettagli fisici, come quando i tre fratelli che annuiscono a ritmo, oppure i tre anziani si muovono come le figurine di un orologio a cucù. Sì perché gli attori in scena sono tre (più una dietro la porta del bagno), ma i personaggi che si avvicendano sono nove. Un campione dell’Italia di oggi, con buona pace dei partecipanti al Family Day: genitori separati che se eran più furbi, invece di risposarsi, “faceano meglio a convivere”; padri depressi; figli che non sanno dove sbattere la testa e che si alzano tardi perché altrimenti dovrebbero passare tutta la mattinata a domandarsi “icchè fo dalle dieci alle due?”; nonni che pregano, dicono di “dassi daffare anche se ‘un c’è niente daffare” e offrono perle di saggezza come solo gli anziani sanno fare, “Dio ha messo l’uomo e la donna e ha detto crescete e mortificatevi”. Bellissimo anche lo scambio di battute fra i tre fratelli: uno dice all’altro “tu non sei cambiato, sei cresciuto, questo è il tuo unico cambiamento”, ed entrambi chiedono alla sorella “ma con il tuo ragazzo ci stai sempre?” e lei risponde “Sì, sì, grazie a lui ho dei momenti di vuoto che altrimenti non riuscirei mai ad avere”.

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