Pensieri stringati
13 Febbraio 2016

Numero 17

di Paolo Simonato | 5 min

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Anatomia di un manifesto

Il manifesto del Pd per Anselmo avrebbe lo scopo di seducere, nel senso etimologico di condurre a sé (se-ducere), e quindi convincere chi lo guarda della bontà della proposta politica, dell’affidabilità del candidato, della sua trasparenza, della sua riconoscibilità e competenza

Siamo fritti

Il festival che celebra Bud Spencer e Terence Hill può anche essere una occasione divertente, per noi boomer. Ero bambino quando Bud Spencer tirava schiaffoni e ribaltava i brutti ceffi dietro i banconi dei saloon

Esco di casa.

Prima di partire mi fermo per qualche secondo, ad occhi chiusi, godendomi un tepore di sole e una mitezza d’aria totalmente fuori stagione.

Per prendere il via mi lascio quasi cadere in avanti, fino al punto estremo di equilibrio in cui devo necessariamente fare un passo; solo allora riapro gli occhi e comincio a correre.

Senza pensare, già galleggiando su quella leggerezza mentale che di solito è l’effetto della corsa ma che è raro sperimentare alla partenza raggiungo l’alberone, con una traiettoria simmetrica e contraria a quella di Luca.

Ci salutiamo e ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza); i sorrisi, le battute di due amici che si rivedono con piacere.

Inevitabilmente si parla del tempo:

“Che bene che si sta!” esclama Luca “ho perfino paura di essermi vestito troppo”.

“Si, si sta bene” faccio io mentre attraversiamo l’incrocio di Porta Mare “anche troppo… ormai è davvero evidente che le stagioni si sono sballate. In fondo è quasi inquietante che ci sia questa temperatura in pieno inverno”.

“A proposito di inquietante, tu, come psichiatra, che ne pensi di quello?” e mi indica dei cartelloni pubblicitari affissi lì vicino. Li osservo con attenzione.

Nella parte superiore campeggia una scritta rossa, grondante sangue: “PSYCHIATRIC CIRCUS”; sotto, sullo sfondo di una parete imbottita, una figura ambigua, una via di mezzo tra un clown, un infermiere e, si presume, un paziente psichiatrico: il volto è truccato da pagliaccio, gli abiti sono il classico completo casacca e pantaloni verde ospedale, e abbassata sul collo si nota anche una mascherina chirurgica, ma il personaggio è legato da due cinghie che gli bloccano le braccia. Le mani indossano guanti di lattice imbrattati di sangue, e la sinistra brandisce una siringa piena di un liquido verdastro. Il cranio, rasato, presenta vistose incisioni grossolanamente ricucite, e l’espressione del viso è un misto di terrore, angoscia e minaccia.

A lato del personaggio la scritta “LO SPETTACOLO PIU’ DIVERTENTE E TERRIFICANTE DELL’ANNO” e subito sotto “TOUR NAZIONALE”.

Proseguiamo nella corsa, ma sono veramente turbato.

“Allora che ne pensi?” mi chiede nuovamente Luca.

“Ma tu hai capito che cosa è?” chiedo a mia volta.

“Non so esattamente… sembra una via di mezzo tra uno spettacolo teatrale e un circo”.

“Beh, spesso il teatro si è occupato del tema del manicomio, mi viene in mente Marco Paolini, che ha fatto uno spettacolo sulla strage nazista di disabili e di pazienti psichiatrici basata su un perverso principio eugenetico. Mi pare di ricordare si intitolasse ‘Vite indegne di essere vissute’”.

“Sì, oppure ‘Centro di Igiene Mentale’ di Simone Cristicchi, il cantante” aggiunge Luca.

“Però… però qui vedo qualcosa di diverso, anche solo limitandosi al cartellone”.

“In che senso?” mi domanda mentre ormai, con passo veloce e sincronizzato, ci avviciniamo alla fine di viale Belvedere.

“Qui mi pare di vedere un uso strumentale della tematica manicomiale, delle sofferenze e delle tragedie che ha storicamente comportato. Mi sembra altamente stigmatizzante”.

“Cosa intendi dire? Che significa stigmatizzante?”

“Lo stigma a mio parere è il contrario di quello che dovrebbe essere la psichiatria. Nel nostro campo dovremmo sempre e in primo luogo partire dal presupposto che possiamo cercare di capire ogni esperienza che ci è raccontata dai nostri pazienti, perché in fondo non ci può essere così estranea. E’ il concetto riassunto nella nota frase di Terenzio – aggiungo, lanciandomi in un piccolo sfoggio che so che Luca mi perdonerà – ‘Homo sum, nihil humani a me alienum puto’”.

“… cioè?”

“Cioè ‘sono un uomo, e ritengo che nulla di ciò che è umano mi sia estraneo’. Lo stigma è l’esatto opposto di questo atteggiamento, è andare a caccia di differenze e farne la base per la discriminazione”.

“E’ come appiccicare un marchio. E’ una specie di razzismo?” chiede Luca.

“Esatto; non si può dire meglio di così”.

Corriamo sempre affiancati, incrociando altri podisti e persone al passeggio, in una cornice serena e rilassata, ben lontana dalle cupe atmosfere evocate dal cartellone in questione.

“E’ giusto; credo sia un principio importante” commenta lui.

“Non è solo per sbandierare una questione di principio, col rischio di apparire come quelli che si fanno paladini di un buonismo di facciata… Tutti gli studi effettuati al riguardo confermano che lo stigma relativo alla malattia mentale comporta una minore probabilità di accesso al lavoro, alla possibilità di trovare un partner…”.

“Certo che se lo stigma comporta questi problemi” dice Luca “a uno passa la voglia di andarsi a curare, perché se qualcuno lo vede entrare in un ambulatorio o peggio in un reparto di psichiatria rischia di rimanere etichettato per sempre!”

Ancora una volta Luca ha colto il nocciolo della questione:

“E’ questo il punto!” rispondo “lo stigma non comporta soltanto isolamento sociale, ma anche allontanamento dalle cure, e quindi alla fine un peggioramento della prognosi!”.

“Capisco” fa lui “è davvero un bel problema. E cosa si può fare?”.

“Cercare in tutti i modi di fornire informazioni chiare e realistiche sulla malattia mentale, sia a livello nazionale, con campagne culturali, che a livello locale, nella propria quotidianità professionale”.

“E se fossero gli interessati stessi a dichiarare la loro condizione e a parlarne? Un po’ come è stato per il movimento dei diritti degli omosessuali…”.

“Anche questa, secondo gli studi effettuati, potrebbe essere una buona strategia. Ma è una scelta difficile, che dipende dalla sensibilità di ciascuno”.

“E quindi, quel manifesto è stigmatizzante perché fornisce una immagine della malattia mentale stereotipa e falsa” conclude Luca.

“Per non parlare della immagine che fornisce della psichiatria, che certo storicamente ha gravi colpe, ma che ormai da molto tempo sta cercando di ritagliarsi un ruolo umanistico e scientifico” aggiungo io, che mi sento ferito anche sul piano della mia dignità professionale.

Siamo ormai ritornati all’alberone, l’inizio e il termine della nostra corsa; ringrazio Luca per la compagnia e ci accomiatiamo.

Ora alla leggerezza mentale sperimentata all’inizio si è sostituito un senso di disagio, di sgradevolezza, che fortunatamente è raro sperimentare alla fine della corsa.

Riprendo la strada di casa dalle parti del ponte di San Giorgio e costeggio il “Maccacaro”, un Centro Diurno per pazienti psichiatrici.

Anche lì è stato affisso il manifesto dello spettacolo.

Penso che ai nostri pazienti è richiesta una dose di forza e di coraggio per affrontare la loro malattia superiore a quella richiesta a chi è affetto da altri disturbi, e che non vedo perché debba essere ulteriormente rincarata.

E mi domando cosa pensano i nostri pazienti passando di lì.

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