Freud and the City
10 Gennaio 2016

Impariamo a gioire

di Giorgia Belletato | 2 min

Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così.
Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare,
vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza
preferisce lamentarsi piuttosto che fare.
Giovanni Falcone

 

La più grande seduttrice di tutte è la vita… ce ne accorgiamo solo e veramente quando non dividiamo la realtà in ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma piuttosto tra quello che fa stare bene e quello che fa stare male, tra il bello e il brutto, l’utile e il superfluo, il buono ed il cattivo.

Ed è per questo che Dio, se c’è, condivide il discorso di Papa Francesco quando parla di amore nei disaccordi, di sicurezza nel palcoscenico della paura e considera l’essere felice non una fatalità del destino ma una conquista da raggiungere, attraversando deserti fuori di sé, con la sensibilità di poter dire “ho bisogno di te”.

Nella stragrande maggioranza delle volte anch’io al caso non credo. Essere attratti dalla bellezza, dal buono e dall’utile della vita vuol dire infatti scegliere, osare, rinunciare e conquistare un’alternativa. Ma purtroppo oggi togliere è diventato sinonimo di perdere, per cui ambiamo e vogliamo ogni cosa. L’illusione del tutto è infatti un antidepressivo a buon mercato, per la quale non c’è bisogno nemmeno di una ricetta medica e ti fa sentire, almeno per un attimo, vivo e libero!

Chi invece si tiene quel poco che c’è per provare ad andare più in profondità rinuncia ad avere tutta la superficie. Solo in questi rari casi però, a guardarci bene, la sessualità e l’amore possono ambire a camminare mano nella mano, i soldi possono strizzare l’occhio alla felicità e la salute guardare in faccia la fortuna. E’ il gioco del “vorrei quel che posso” che ci autorizza ad essere pienamente adulti e allo stesso tempo salutare l’adolescenza per ritornare un po’ bambini entusiasti della vita.

Nessuno di noi quindi deve avere il dubbio di soffrire di un complesso di inferiorità, perché siamo tutti veramente inferiori, psicologi e pazienti, stupidi e fanatici, consapevoli e inconsapevoli, se non impariamo a perdere, a perderci e a ridere di noi stessi, delle nostre poche sicurezze, del senso del nostro limite. Questo significa anche e soprattutto esimersi dal fare la vittima, ossia dal manipolare la comprensione degli altri non prendendosi la responsabilità delle proprie azioni. Ma vuol dire anche smetterla di pretendere perentoriamente ed esclusivamente di poter cambiare l’altro. Eh già perché, se non lo abbiamo ancora capito, nessuno, se non lo vogliamo veramente, ci può cambiare…

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