Recensioni
29 Novembre 2015
Film da non perdere quello del ventottenne regista inglese Andrew Haigh

Nelle sale ferraresi ancora ’45 anni’

di Redazione | 2 min

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indexApre con una delicata veduta di paesaggio diafana; a fatica si distinguono i contorni della casa che da lontano – una vera e bella dimora inglese di campagna – vanno materializzandosi.

Poi entriamo nel vivo della esistenza ormai quotidiana da 45 anni di due coniugi (i bravissimi, equilibrati, vincitori per l’interpretazione all’ultima Berlinale, Charlotte Rampling e Tom Courtenay, grande dai tempi in cui recitava per l’ormai a torto dimenticato regista inglese Joseph Losey).

E’ l’incipit di “45 Anni”, l’ultimo film di A. Haigh, giovane, ma già maturo regista e scrittore inglese che affronta un tema dolente: dopo tanti anni di convivenza, tra alti e bassi, certo, come è ‘normale’, per tutte le coppie, seppur sostanzialmente, pare, d’amore e poi di grande affetto e rispetto, torna a galla, da un lontano passato, la donna che ha preceduto nel cuore del marito, l’arrivo di Rampling.

Ne viene ritrovato il corpo in un crepaccio in Svizzera, forse ancora intatto, forse immutato, come 50 anni prima. Il tempo non ha infierito, dunque, su quella morte anticipata e fa aprire, dapprima velatamente, poi sempre più seriamente, un ‘crepaccio’ tra i due anziani coniugi.

Ed il plot avanza, inesorabile, verso una discesa agli inferi che le apparenze devon coprire: i 45 anni saranno festeggiati, con tutti i crismi della buona società inglese che ‘non perdona le cadute di stile’, l’apparenza sarà di un recupero pieno, totale, anzi un ri-inizio che sottolinea e de-finisce, ridefinendolo, l’amore di una vita, certo…

Ma l’ultimo fotogramma, quello su cui si chiude la pellicola, il viso di Rampling stravolto, affranto, è quello di una moglie che non sa se ha vissuto la sua vita o quella di un’altra o con un’altra ed il marito, in un inconsapevole ménage a trois, il fantasma di una morta, certo, impossibile da sfidare, ma più forte della vita stessa…

Ottimo il cameo di Geraldine James, amica implacabile ed affettuosa.

Atonica, per tutto il film – a simboleggiare lo spegnersi della vita, simbolicamente? – la fotografia.

Rimembrante, colta, storicamente godibile la scelta dei molti pezzi di musica classica, Bach, Stravinskji, e delle canzoni d’antan – i Platters, i Turtles, un fil rouge sonoro non originale, ma davvero coinvolgente, anche per il visivo fruitore.

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