Eventi e cultura
25 Novembre 2015
Simone Verde, storico dell’arte, critica la politica del settore

Cultura in Italia, quella reazionaria

di Redazione | 2 min

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Mentre altrove nel mondo la cultura evoca subito alla mente un’apertura intellettuale, proiettata verso il futuro, in Italia continua a sussistere uno scontro tra due correnti: da un lato un’idea conservatrice e inattuale di patrimonio culturale, dall’altro una svendita economica di esso.

La conferenza di ieri pomeriggio presso palazzo Bonacossi, inserita all’interno del ciclo di incontri ‘Il museo. Dentro e intorno’, ha infatti voluto trattare il tema della politica dei beni culturali in Italia, tra attualità e storia. A parlarne è stato Simone Verde, storico dell’arte e responsabile della ricerca scientifica per il Louvre di Abu Dhabi e blogger. Uno dei cervelli in fuga dall’Italia, che ora vive tra Parigi e, appunto, la capitale degli Emirati Arabi Uniti.

“L’Italia è ancora divisa tra due correnti – racconta Verde -, quello di una religione inattuale del patrimonio e quello della svendita sul mercato dei beni culturali, che non fa che frenare la crescita economica, civile e culturale del Paese. Sembra un dibattito manicheo visto da lontano, quello che ancora sussiste in Italia. Da un lato si vuole puntare su identità e prevenzione, dall’altro si vuole fare perno sul turismo. Rimane però un elemento basato su un certo conservatorismo reazionario legato al ruolo culturale del nostro Paese”. Secondo Verde, così facendo, “si nega al settore quella potenzialità di reinventare i concetti stessi di democrazia”.

L’autore del libro ‘Cultura senza Capitale. Storia e tradimento di un’idea italiana’, affronta la questione dal punto di vista storico, analizzando i fatti dalla legge Bottai alla recente riforma dei beni culturali. La discussione “continua ad essere populista da chi vede la situazione come me, dall’esilio”, evidenzia Simone Verde. “La politica ha tentato a più riprese di parlare della questione, ma sempre con delle scorciatoie. Prima, negli anni Novanta, sembrava dovessero essere i manager a risolvere la questione, poi negli anni Duemila si è passati ad attribuire la responsabilità ad enti locali, regioni e stato. Ora sembra siano i privati a dover salvare i beni culturali in Italia”.

Ma secondo lo scrittore sono tutte una serie di scorciatoie unilaterali. “È come se si fosse preso in ostaggio un corpo sul quale si interviene con accanimenti terapeutici. Nel sistema culturale servono forse tutti e tre questi elementi: serve managerialità, servono i privati e bisogna puntare sul decentramento”. In questo sistema italiano sempre più ripiegato su se stesso, per Verde la soluzione è “per gli italiani riprendersi ciò che abbiamo inventato e che, purtroppo, abbiamo tradito, ovvero la cultura come servizio pubblico a sostegno dello sviluppo”.

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