Cronaca
4 Ottobre 2015
Cristoph Reuter e gli ospiti di Internazionale parlano dei documenti segreti e delle vere radici dello Stato Islamico

Isis: la verità oltre i media

di Ruggero Veronese | 7 min

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da sinistra:

da sinistra: Christoph Reuter, Olivier Roy, Loulouwa Al Rachid, Corrado Formigli

Quanto conosciamo lo Stato Islamico, le sue origini, i suoi punti di forza e di debolezza, i suoi alleati e i suoi nemici? A giudicare dalla distanza tra i normali servizi dei media occidentali – salvo rarissime eccezioni – e i concetti illustrati dagli ospiti di Internazionale, la risposta e semplice: non sappiamo nulla. Non disponiamo delle informazioni corrette, non siamo in grado di collegare i fenomeni storici in Medio Oriente, ma soprattutto non siamo in grado di distinguere tra le migliaia di differenze e di spaccature nel mondo musulmano che hanno determinato l’ascesa dell’Isis. Il risultato è che, per l’opinione pubblica occidentale, l’Islam continua a essere un blocco ideologico, etico e religioso monolitico, di cui lo Stato Islamico rappresenta solo la degenerazione più temuta e violenta.

Niente di più sbagliato secondo i quattro ospiti di Internazionale, che fortunatamente appartengono alle ‘rarissime eccezioni’ citate inizialmente: il moderatore Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita e autore dell’unica vera inchiesta televisiva italiana sull’Isis (andata in onda in giugno su La7), Loulouwa Al Rachid dell’International Crisis Group, Christoph Reuter del quotidiano tedesco Der Spiegel e l’orientalista e politologo Olivier Roy. Lo scenario da loro descritto è quello di un’area smembrata dai conflitti per il potere e per il controllo dei territori, in cui gli stessi concetti religiosi vengono piegati in un’ideologia mirata ad annientare politicamente ogni nemico interno. Lo spiega inizialmente Formigli parlando del proprio viaggio a Kobane, città simbolo della resistenza kurda: “L’Isis è uno stato a tutti gli effetti, anche se non riconosciuto da alcuna autorità internazionale. Ha la propria organizzazione, le proprie leggi, i servizi pubblici e le targhe per le auto. Ma è anche un’ideologia capace di diffondersi sul web e accendere cellule terroristiche e lupi solitari in tutto il mondo”.

L’UMILIAZIONE SUNNITA. Ma cosa rende questa ideologia così efficace e capace di raccogliere il supporto delle popolazioni conquistate? Secondo Al Rachid esiste una parola chiave: il rancore dei musulmani sunniti. Ma non quello di stampo neo-colonialista verso l’occidente – spesso l’unico concepito e concepibile dalla nostra opinione pubblica – ma soprattutto quello contro gli sciiti, diventati la nuova classe dirigente dopo le guerre successive all’11 settembre 2001. “È importante tornare al 2003 – spiega Al Rachid – e cogliere l’importanza del trauma, l’umiliazione  della popolazione sunnita che sentiva di aver perso centralità in Medio Oriente. L’Iraq è il cuore del Baath (il partito di stampo socialista di Saddam Hussein, ndr) e degli arabi sunniti, che dopo la fine del regime di Saddam hanno intrapreso una guerriglia contro le nuove classi dirigenti, che non sono mai state accettate dalla maggioranza sunnita”. Questo il motivo, ad esempio, della rapidità con cui cadde Mosul nel giugno 2014, conquistata in circa due ore da meno di un migliaio di miliziani: “L’esercito irakeno non prese neanche le armi in mano: erano composto quasi completamente da reclute sciite, che non hanno voluto morire per difendere una popolazione sunnita che li vedeva come forza di occupazione, quasi come una sorta di esercito coloniale ‘su procura’ dell’Iran (a maggioranza sciita e visto con ostilità dagli irakeni, ndr). C’era un’ambiente locale che ha fornito all’Isis l’intelligence necessaria per prendere la città in poche ore”.

L’EREDITA’ DI SADDAM: Viene così a galla un elemento davvero nuovo per i media italiani: il rapporto di discendenza quasi diretta tra l’Isis e il partito Baath, dal quale deriverà quell’impostazione statalista, ideologica e mediatica dello Stato Islamico che nessuna forma di jihadismo aveva mai conosciuto. È su questo argomento che si focalizza Cristoph Reuter, autore del più utile e importante ‘scoop’ su questo argomento: il giornalista di Der Spiegel ottenne infatti le 31 pagine originali dei piani di occupazione della Siria, redatti nel 2010 da Samir Abd Muhammad al-Khlifawi. Quattro anni dopo il mondo avrebbe conosciuto l’Isis, ma all’epoca al-Khlifawi era un semi sconosciuto jihadista con un passato nell’intelligence di Saddam con un piano lucido e razionale per creare una nuova forza in Medio Oriente. In quegli anni ‘di incubazione’ il gruppo di al-Khlifawi non fece altro che replicare le attività di spionaggio del partito Baath in attesa del momento per sferrare il colpo: “Hanno cominciato senza destare alcun sospetto, raccogliendo informazioni su tutto e tutti nelle aree a cui miravano: chi era potente? Chi erano gli sciiti ricchi? Su quali rapporti di parentela si poteva agire? Chi poteva essere ricattato perchè gay? Chi aveva una storia segreta? Chi poteva permettersi di pagare un riscatto da mezzo milione di dollari? Era una replica esatta del sistema di Saddam, perfetto per scoprire le vulnerabilità dei nemici e conquistare il potere. E grazie a questa intelligence hanno preso il controllo, cominciando piano piano a conquistare villaggi e poi, quando si sentivano abbastanza potenti, passando in altre località”. Un lucido e freddo piano politico in cui la religione, naturalmente, è diventata solo il primo degli strumenti di propaganda: “In questi documenti – sottolinea Reuter – non è presente nemmeno un termine religioso. Le persone che li hanno scritti erano gli ‘ingegneri del potere’ che hanno utilizzato le convinzioni dell’Islam e la disponibilità della gente a sacrificare la propria vita”.

Di fronte a questa documentata ricostruzione è quasi ironico pensare che, se i sopravvissuti di un ex partito di matrice socialista sono diventati i nuovi profeti della guerra santa, è stato anche grazie all’involontario aiuto degli Stati Uniti, che nel 2010 catturarono o uccisero l’80% dei leader jihadisti nel mirino dei srvizi segreti. “È stato il momento in cui i vecchi baathisti entrati nel nascente Stato Islamico – afferma Reuter – hanno preso la linea. Prima c’erano dei veri jihadisti, e infatti lo stesso califfo Al-Baghdadi nel primo periodo era una figura artificiale: occorreva una figura riconosciuta come leader, perchè glialtri erano tutti ex ufficiali dello spionaggio di Saddam”.

LE CONTRADDIZIONI INTERNE. Ma nemmeno un sistema di potere e di propaganda così raffinato può essere perfetto, e secondo Reuter la sua più grande contraddizione interna sta proprio nel rapporto con gli obiettivi a cui viene data una legittimazione religiosa: “Ci sono tensioni strutturali interne – spiega il giornalista tedesco – perchè la popolazione araba sunnita ha un’agenda strettamente locale e non è interessata a creare un grande califfato dal Marocco all’Indonesia. La leadership però ha creato una narrazione che rievoca il califfato islamico dei primi secoli, poichè questa ha un grande impatto per diffondersi all’estero. Ai foreign fighters che vengono dal resto del mondo non importa nulla dei contrasti tra sunniti e sciiti: si uniscono all’Isis perchè si propone loro una teoria globale della Jihad. Quindi c’è una grande tensione tra i miliziani che desiderano una guerra permanente e lo popolazioni locali, che avevano accolto l’Isis come elemento stabilizzatore, e prima o poi queste contraddizioni aumenteranno. Soprattutto se si ferma l’espansione territoriale, che è già stata bloccata al nord dai kurdi e che non potrà continuare a est, perchè gli iracheni sciiti combatteranno e non lasceranno che l’Isis prenda Bagdad. L’area più debole è la Giordania, ma lo Stato Islamico ha commesso il grave errore di giustiziare in modo raccapricciante un pilota e questo ha suscitato una reazione patriottica molto forte”.

Proprio queste contraddizioni, secondo Olivier Roy, rappresentano l’unica speranza mondiale non solo per sconfiggere l’Isis, ma per riportare la pace in Medio Oriente: “C’erano leader abbastanza forti fino al 2009, ma sono stati cooptati o uccisi dallo Stato Islamico. Oggi il vero problema è risolvere la grande battaglia ideologica tra sciiti e sunniti: occorre creare la possibilità che anche i sunniti combattano l’Isis, ma il grande ostacolo è che, finchè Assad (sciita, ndr) sarà al potere in Siria, non ci sarà mai alcuna opposizione tra queste forze di opposizione. Questo è il grande ostacolo, tutto il resto è una grande illusione”.

NESSUNO COMBATTE DAVVERO L’ISIS. E proprio riguardo ad Assad e a chi attualmente combatte l’Isis, la riflessione di Reuter è piuttosto amara: “Purtroppo in realtà lo Stato Islamico non è il principale nemico di nessuno: il principale problema dei turchi sono i kurdi, che a loro volta combattono su due fronti per difendere i propri confini. Per Assad la priorità è dividere le opposizioni e accetta l’aiuto della Russia, il cui obiettivo è riconquistare quel ruolo in Medio Oriente che ha perso alla fine della guerra fredda. E per restituire alla Russia la propria importanza, Putin aiuta Assad su due livelli: combattendo tutti i ribelli che gli si oppongono e facendo sì che riconquisti legittimità nella lotta al terrorismo. Siamo di fronte a una lunghissima guerra”.

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