10 Agosto 2015
Studio congiunto tra Siena e Ferrara aiuta a capire i meccanismi coinvolti nella malattia rara

Sindrome di Rett, Unife fa luce sulle cause

di Redazione | 2 min

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Poindexter Propellerhead/Wikipedia/CC BY SA 3.0

Poindexter Propellerhead/Wikipedia/CC BY SA 3.0

Un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Università di Ferrara e condotto insieme all’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, l’Università di Siena, oltre alle Università di Bari, Rotterdarm e Los Angeles fa luce sui meccanismi che possono causare la sindrome di Rett.

La sindrome di Rett è una malattia neurologica rara che colpisce in larga prevalenza i soggetti di sesso femminile (nel 95% dei casi) con un’incidenza sulle ragazze fino a 12 anni di età di 1 su 9.000 mentre nella popolazione generale la stima è di 1 soggetto su 30.000. Si tratta di una malattia difficile da diagnosticare e si presenta solitamente nei primi anni di vita, dopo da una fase iniziale di sviluppo normale che, tra i 6 e i 28 mesi di vita, si interrompe facendo regredire le capacità psicomotorie acquisite, accompagnandosi alla comparsa di movimenti stereotipati delle mani (“hand washing”) e alla progressiva perdita di interesse per l’ambiente sociale circostante.

La malattia sembra essere legata alla mutazione del gene MECP2 (methyl CpG-binding protein 2), localizzato sul cromosoma X, anche se finora poco si è scoperto sul legame che conduce effettivamente dalla mutazione del gene MECP2 alla sindrome e il lavoro dei ricercatori ferraresi e senesi è andato proprio nella direzione di fare luce sui meccanismi coinvolti.

La ricerca, condotta su 15 pazienti Rett e 15 sani, pubblicata sulla rivista scientifica “BBA-molecular mechanim of disease”, svela per la prima volta la fonte da cui si origina lo stress ossidativo, una condizione patologica di danno cellulare determinato da una eccessiva presenza di sostanze chimiche a elevata reattività e instabilità (radicali liberi), prodotte prevalentemente nei mitocondri e che caratterizza i pazienti affetti da Sindrome di Rett. La ricerca ha dimostrato anche l’incapacità delle cellule dei pazienti Rett di metabolizzare le proteine danneggiate.

“Questa scoperta – spiega Joussef Hayek, direttore della Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Senese, centro di riferimento nazionale per questa malattia – rafforza i risultati degli studi condotti negli ultimi cinque anni dai due gruppi di ricerca di Siena e Ferrara, aggiungendo un nuovo tassello molecolare ai meccanismi che, dalla mutazione genetica, portano ai danni ossidativi presenti nella Rett”.

Fondamentale il contributo del professor Giuseppe Valacchi, del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie dell’Università di Ferrara, che ha coordinato la parte molecolare dello studio. “Abbiamo dimostrato – aggiunge Valacchi – come nei pazienti Rett ci sia l’incapacità di attivare le difese antiossidanti cellulari ed eliminare le proteine danneggiate portando, di conseguenza, ad un accumulo di danni ossidativi ed al malfunzionamento cellulare.” I risultati indicano che le cellule prelevate da biopsie cutanee di pazienti Rett non riescono a far fronte al danno ossidativo sistemico causato proprio dalle cellule stesse.

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